giovedì 30 dicembre 2010

Evitare le buche più dure

La criticità non sta nel testo ma in noi, Signor Napolitano.

Non una sola volta mi sono ritrovato a fare i conti con me stesso e con le nevrosi che la vita mi ha dato in dono. I dispiaceri e i dolori arrivano tutti da un destino personale che può essere simile o dissimile a quello che sta in voi. Soffro come soffrite voi, o soffro per motivi paralleli ai vostri. Niente di nuovo, in ciò. Banalità, direte. Però questi dolori mi danno un'identità e scusate se è poco. Cosa intendo per identità? Intendo io in rapporto a voi e al mio dolore. A darmi un'identità sono poi, e forse ancora di più, le varie manutenzioni che nel corso della vita mi ritrovo a fare con gli strumenti in dotazione. I vecchi saggi non dovevano dirci "ricordati che devi morire", ma "ricordati che l'essere umano è fragile" (Primo Levi). Siamo vulnerabili, insomma; perdiamo il baricentro con grande facilità e la fine, o semplicemente la disperazione, è lì ad aspettarci.

Se ricordo bene è Bernardo che nel romanzo di Aldous Huxley Il mondo nuovo dice: tra il desiderio e il suo soddisfacimento ci stanno i sentimenti. L'esperienza un poco mi ha insegnato che non sempre è vero, però più invecchio più sostanza vedo in questa affermazione. Più il percorso tra il desiderio e il suo soddisfacimento è corto meno sentimenti rischiamo di conoscere. Io parlo di buoni e cattivi sentimenti (rozzamente parlando), ovviamente. Parlo delle bassezze che siamo capaci di concepire, dei sentimenti più viscidi e biechi. Quelli che fanno di noi cattivi uomini o più semplicemente degli emereti scemi. I sentimenti biechi ci fanno deragliare e la maggior parte della volte il deragliamento è lento e silenzioso. I sentimenti buoni, invece, ci regalano brevi, anzi brevissimi, attimi di felicità. Talvolta anche qui non siamo capaci (scusate se uso il plurale) di godercela e di fare le mosse giuste. Finisce anche qui tutto in vacca.

Se Dante avesse avuto un ascensore tra Nel mezzo del cammin di nostra vita e l'amore che move il sole e l'altre stelle la Divina commedia non sarebbe ora lì sullo scaffale a un metro da me. L'ascensore avrebbe amputato drasticamnete le distanze e con esse una serie di altre cose cha hanno fatto letteratura. Senza ascensore, invece, sappiamo cos'è successo. Senza ascensore sono successe cose dispiacevoli e cose meno dispiacevoli e alla fine qualcuno ha ricevuto dall'esperienza di Dante qualche dritta. Dal momento che esistono sentimenti, che i percorsi sono più lunghi e impervi, è utile imparare, avere la capacità di leggere le mappe. Perchè c'è qualcuno che le mappe le fa. Chi ne fa di precise e chi di inaffidabili. Si soffre perchè la vita fa schifo ma qualcuno può imparare a evitare le buche più dure. Ci si affida e ci si impegna. L'insegnamento, ora esco dalla selva di metafore nella quale mi sono infilato, e chi lo rappresenta hanno importanza (detta rozzamente).

Quando la distanza tra il desiderio e il suo soddisfacimento è corto non ci stanno sentimenti. O ce ne stanno pochissimi. Cosa me ne frega a me di avere una manutenzione degli affetti quando io conto poco? E' proprio utile leggere un dialogo tra la Terra e la Luna? Io che assomiglio sempre meno ad un uomo devo leggere Se questo è un uomo? Una volta, magari. Non ho sentimenti da addomesticare e storture da raddrizzare per il semplice fatto che non mi è capitato assolutamente nulla. Non mi è capitato assolutamente nulla perchè la mia società è organizzata in modo tale che non mi capiti assolutamete nulla di intimamente rilevante. A cosa serve un professore di italiano? E un professore di matematica? Quello di musica?

Più il percorso tra il desiderio e il suo soddisfacimento è corto meno cose, belle e brutte, mi capitano. Così non mi servono le mappe e chi le mappe le fa. Sono dell'idea, però, che più il percorso è breve più i miei sentimenti (poi non uso più questa parola, prometto) rimangono lì a marcire inutilizzati. Rodono e grattano le pareti che le comprimono e noi, voi, non sappiamo cosa diavolo ci succede dentro. Dentro? E cosa diavolo significa dentro? Una volta, forse, si usava questa parola?

Fino a che poi arriva la malattia a darci la definizione di questa parola.






Cronaca casalinga

Un paio di minuti fa un signore ha suonato il campanello e, dopo che io mi sono affacciato al balcone, mi ha chiesto dove mai potesse trovare "il defunto Mario Rossi". Mi sono preso una manciata di secondi per elaborare la domanda. Poi ho risposto che non lo sapevo o qualcosa del genere. Mi ha ringraziato con eccessiva gentilezza e ognuno è tornato alle proprie vite. O qualcosa del genere.

martedì 28 dicembre 2010

Belli i romanzi. Ci fanno evadere.

Mettiamola così: nella famiglia del Dongo del lungo romanzo di Stendhal La Certosa di Parma ci stanno gli antipatici e oscurantisti, fedeli agli austriaci, e ci stanno poi quelli che con piglio rivoluzionario aspettano Napoleone. Da una parte i noiosi, l'anziano padre del Dongo e il primogenito Ascanio, spia e viscido personaggio faccia da culo della famiglia, dall'altra parte il protagonista Fabrizio, velleitario e sognatore, sua madre, sua zia e altri personaggi cha e a loro, ma solo a loro, girano attorno. La famiglia del Dongo, dal momento che la faccia da culo (poi non lo dico più) fa la spia, si divide: "quello stupido di mio fratello odia gli austriaci in quanto gretti e oppressori", dice a grandi linee Ascanio. Ecco, questa è la spinta (il movente?) al romanzo, la causa di tutto il movimento e della polvere alzata.

Perchè, ecco le domande, leggere questo romazo a tratti noioso e a tratti zoppicante? Perchè inseguire, non senza sudare, i movimenti interiori ed esteriori del bel giovanotto Fabrizio del Dongo? Perchè leggere delle sue passioni politiche, filosofiche e amorose? Perchè? Perchè con La certosa di Parma ci succede una cosa che nella realtà non ci succede mai: stiamo dalla parte dell'oscurantista, della spia. Stiamo dalla parte della faccia da culo (poi non lo dico più) di Ascanio.
Perchè forse la verità e la giustizia stanno dalla sua parte? No. Allora, forse, perchè Ascanio è gagliardo? Nemmeno. Ascanio, che rimane nella sua casa di Como con il padre padrone, nel romanzo non compare quasi mai. Sappiamo solo che è attaccato al padre, quindi all'autorità, che tifa come il padre per gli Austriaci e, infine, che denuncia suo fratello: "mio fratello è andato a Waterloo", rivela. Perchè rischiamo di tifare per il più viscido del romanzo? Perchè rischiamo di fare una cosa che nella realtà non faremmo mai?

Fabrizio del Dongo, il fratello della spia, è uno scemo. A me dispiace dirlo, ma è così. Quello che vuole sovvertire la storia, quello che si libera dalla pesante e soffocante presenza del padre, e da tutta una sovrastruttura famigliare e non solo, è in realtà un pirla. Leggete o rileggete il romanzo, se non mi credete. Fabrizio fugge da Como per andare a Waterloo senza capire, alla fine di alcune divertenti peripizie, se ha partecipato alla storica battaglia. In realtà non l'ho capito nemmeno io. Non l'ho capito perchè sono come Fabrizio? Sì. Fabrizio, prima, viveva facendo a pugni con i ragazzini del paese senza imparare niente, neanche a leggere. Chissà, ho pensato, cosa faceva invece quella spia di Ascanio. Gli ideali di libertà di Fabrizio, a questo punto, a me sembrano poca cosa rispetto alla serietà e fermezza del fratello. Ecco, Stendhal dà ad Ascanio la serietà. A questo punto mi succede quello che nella realtà non mi succederebbe mai: comincia a starmi più simpatico l'antipatico. Questo non perchè l'antipatico sia più intelligente. No, non per questo. Succede perchè il simpatico, Fabrizio, è scemo. Fabrizio è poco serio e coerente, nel romanzo. Leggete o rileggete se non mi credete.

Allora succede che se dovessi votare, tra i due io.... No, scusate, il voto non centra nulla. Stavo per dire una scemenza.

Insomma, Stendhal racconta di Fabrizio che sta in una battaglia come Woody Allen sta in Amore e guerra, che finge di essere un venditore di barometri per coprire la sua vera identità e per questo tutti lo prendono per il culo (io ho riso per una trentina di minuti), che si fa fregare i cavalli e poi va a Parma e nel frattempo si innamora di una decina di donne, tra le quali sua zia, e poi si fa prete o giù di lì, e fa poi tante altre cose surreali e nel frattempo, a noi, ci viene da pensare quello che nella realtà non oseremmo mai di pensare: ma se Ascanio, là nel suo palazzo di Como, avesse ragione? Se gli ideali di Fabrizio e tutto questo suo girovagare alla ricerca della felicità fossero la prova che l'oscurantismo del fratello non è oscurantismo? Il fatto, questo ci ricatta, è che Fabrizio non è credibile. Aprite una pagina a caso e troverete che Fabizio sta facendo una fesseria. A me dispice dirlo, ma Fabrizio, che preferivo perchè più fantasioso e libero di suo fratello, è patetico e buffo. Per la prima volta, che io sappia, le due cose stanno insieme.
Pagina 66 (ed. Mondadori): Fabrizio fu molto fiero del suo discorsetto. Non faremo il racconto particolareggiato della lunga discussione sul suo futuro destino. Però Fabrizio si accorse che mentre discutevano ripetevano tre o quattro volte i punti salineti della sua storia. Fabrizio è così, ripete sempre le stresse cose per tutto il romanzo. Come ripetesse, appunto, i punti salienti (terribile espressione). Di ogni donna che incontra per strada, dice:che sia l'amore, finalmente? Allora, visto che sto in un romanzo e non nella realtà, mi prendo il lusso di pensare ad Ascanio. Alla sua serietà. Alla sua lucidità. Lo faccio perchè non solo lo scrittore, ma anche il lettore si dà le licenze. La licenza di tifare, ebbene sì, per la faccia da culo, per quello che ha torto, per la spia, per quello più ricco, per quello che comanda lontano da alcuna gentilezza o logica umana. Questo solo perchè il protagonista, quello che decidiamo di seguire, non è serio e coerente. Solo perchè soffre sempre dello stesso male. Allora anche noi perdiamo gli strumenti intellettuali, per dirla grossa.

Ma questo nel romanzo. Nei romanzi. La vita è diversa. Vero?