domenica 17 aprile 2011

sapere storico

di lo Scorfano

Una bella intervista a Giovanni De Luna, storico e docente di Storia contemporanea. Un'intervista in cui gli attacchi del premier alla scuola pubblica vengono messi (a sua insaputa, è proprio il caso di dirlo) in una prospettiva più ampia, come parte di un progetto antropologico più complesso e che parte da lontano. Magari le parole di Berlusconi sono solo propaganda elettorale (in tanti credono così), ma restano il sintomo di un viaggio culturale che abbiamo intrepreso alcuni anni fa e di cui forse possiamo essere consapevoli. 

Un attacco che colpisce l'istituzione più inclusiva che la nostra democrazia abbia mai partorito. Perché «a fare gli italiani» è stata proprio la scuola pubblica, l'istituzione che nel bene e nel male è riuscita a perimetrare uno spazio pubblico dentro il quale ci si è sentiti in qualche modo appartenenti alla stessa comunità. (...) La funzione inclusiva della scuola è uno dei pilastri della nostra democrazia. Credo che a questa funzione si vada attentando ma credo anche che la scuola resta ancora la nostra istituzione più avanzata proprio sul terreno dell'inclusione. (...) Il vero problema della scuola oggi - rispetto alla trasmissione del sapere storico - è che c'è un senso comune affollato di stereotipi. Con tutto questo non c'entrano né i manuali né la scuola, che al massimo costruisce il 10-15% del segmento complessivo della conoscenza storica del nostro passato. Esempio. Test di ingresso alla mia facoltà: alla domanda quanti anni il Pci è stato al governo nell'Italia repubblicana - 5, 10, 30 - il 25% ha risposto 30. Questa non è ignoranza ma senso comune veicolato dai media. (...) Il problema è l'esistenza di un senso comune schiacciante nei cui confronti la scuola è in difficoltà. Altro che andare a vedere i manuali. I manuali non incidono neanche per l'1% alla costruzione del sapere storico. (...)
Leggere dentro le insensatezze di Berlusconi e Carlucci il sintomo di una crisi più complessiva di cui loro non si rendono conto ma noi sì. E soprattutto che a loro non interessa ma a noi sì.

4 commenti:

  1. Questa non è ignoranza ma senso comune veicolato dai media.

    Trovo parecchie difficoltà a non identificare il senso comune veicolato dai media con l'ignoranza. E non mi riferisco solo all'esempio portato o ai grandifratelli, ma a tante forme anche più subdole che non starò certo ad enumerare. Ma magari chi insegna Dante ogni giorno capisce a cosa mi posso riferire.

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  2. Io (che per esempio domani insegno Dante in una scuola) immagino che il "senso comune veicolato dai media" sia la contemporanea forma di ignoranza. Diversa da quella di qualche decennio fa che, magari consapevole di sé, taceva.
    Resta che un "senso comune" esiste ed è un substrato con cui anche chi insegna Dante tutti i giorni si trova a dover fare pesantemente i conti.
    (ma non è detto che io abbia davvero capito a cosa tu ti riferisci.)

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  3. Diciamo che se io insegnassi Dante, troverei molto molto molto fastidiosi gli elogi ad un comico che ieri cantava la merda e oggi decanta Dante. Non per il fatto in sé, ma perché con quelle 4 banalità teatralmente espresse la ggente crede di aver imparato Dante, quando per lo meno chi guarda amicidimaria non va in giro a distribuir patenti di sapienza.

    Così come ho sempre trovato stomachevoli le cosiddette opere di divulgazione, in cui qualche giornalista spara due o tre concetti a caso e sbagliati e dice di aver avvicinato la cultura al popolo, quando è vero tutto il contrario.

    Meglio, cento volte meglio l'analfabeta che sa di esserlo dell'acculturato che ascolta Dante alla tivvù...

    (si può dire merda nei blog?)

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  4. Sì, avevo capito allora. E sono d'accordo, e l'ho scritto (accennato) in un post di qualche giorno fa: la spettacolarizzazione della cultura tradizionale non è divulgazione.

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)