giovedì 30 giugno 2011

si sta come

di lo Scorfano


Visto che siamo nei giorni in cui iniziano gli orali di maturità, e visto che Ungaretti quest’anno va piuttosto di moda, e visto anche che, in un modo o nell’altro, questo è un testo che tutti vanno citando e che sarà senz’altro oggetto di qualche domanda all’esame di Stato, rivolta a qualche povero studente ansioso e tremante, mi permetto una breve nota sulla poesia Soldati, di Giuseppe Ungaretti. Che magari, chissà, alla fine della giornata avrò aiutato qualche studente sconosciuto e spaventato.

La conoscono tutti, questa poesia. È quella che dice che i soldati sono come foglie in attesa di cadere dall’albero, d’autunno. È una poesia (bella, questa è una poesia senz’altro bella) sulla caducità dell’essere umano e sul carattere effimero e transitorio della vita. Ma proprio perché la conoscono tutti, a volte succede che la poesia diventi altro da sé, si trasformi, perda senso.
       Ecco, volevo dire proprio questo agli studenti che per caso passassero di qui, a proposito di questo testo che magari qualcuno chiederà loro: di non lasciarsi fuoriviare dall’aspetto scontato dei versi e dalla domanda presuntamente «facile» che è stata loro rivolta.

Prima questione: non fatevi ingannare dalla pagina bianca che circonda quei pochi brevi versi che vi metteranno davanti. La distruzione della metrica operata da Ungaretti non è mai solo distruzione, non è irreversibile né definitiva. Guardate ben quei versi e scoprirete che sono semplicemente due settenari spezzati: cioè due versi tradizionalissimi, usati da sempre, lo stesso metro di «Chiare fresche e dolci acque», per intenderci, un tipo di verso usato da Dante, Petrarca, Tasso, Manzoni e da tutti quelli “vecchi”, insomma. È una novità, d’accordo, ma non così estrema come vi pare di vedere; e soprattutto è una novità che non ha abbandonato la tradizione dietro di sé come se non fosse nulla: perché la tradizione, bene o male che sia, non si dimentica mai e continua ad agire anche se in silenzio, di nascosto.

Seconda, e più decisiva, questione: leggetela bene, quella poesia, ma bene sul serio. Non fate come certi miei ex studenti che arrivavano all’esame e mi dicevano (anche dopo cento raccomandazioni) : «Si sta [pausa] come d’autunno [pausa] eccetera», con quei silenzi fuori tempo che me la fanno diventare una filastrocca senza senso. Guardate bene come è scritta, prima di leggerla ad alta voce, e scoprirete che…

Scoprirete che in realtà si legge così: «Si sta come [pausa] d’autunno [pausa] sugli alberi [pausa] le foglie». In questo modo apprezzerete anche come sia prorpio quel «come» a reggere tutta la poesia. Anzi, scoprirete che è proprio su quel «come» che si «appende» tutta la poesia: perché è una poesia appesa, quella che state leggendo, appesa come una foglia, appunto.

È appesa alla pagina bianca, come un qualcosa che stia per cadere giù, da un momento all’altro; ma è soprattutto appesa al suo «come», che se la tiene tutta lì in attesa della fine. E se mi togliete quel «come» messo lì, in una posizione incongrua (talmente incongrua che i lettori casuali non se ne avvedono nemmeno più), se mi togliete quel «come» così imbarazzante, a fine verso, lasciato in bilico sull’abisso bianco della pagina, se mi togliete quello, avete tolto tutto il senso alla poesia.

E, a quel punto, letta bene come deve essere letta («si sta come [pausa] d’autunno [pausa] eccetera), potrete semplicemente dire che la poesia non solo parla della caducità delle cose, ma che anche raffigura quella caducità: è una poesia effimera essa stessa, appesa quindi come le foglie e come i soldati e come se stessa. E in quegli attimi interminabili di bianco, quando sarete arrivati a pronunciare la parola «foglie» alla fine del testo, saranno passati pochi istanti eppure avrete già detto tutto, non avrete quasi più bisogno di spiegare niente a chi vi sta davanti e vi interroga. Guardate in faccia il vostro commissario di italiano e ditegli semplicemente questo: «come [pausa] [pausa lunga] [pausa lunghissima] d’autunno…».

E se non altro l’esame orale sarà partito bene, potete scommetterci. E poi, naturalmente, potrete anche tornare a ringraziarmi, che mi fa piacere.

10 commenti:

  1. Che meraviglia, 'sto post!
    Agota

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  2. è davvero una meraviglia! ma meraviglia meraviglia

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  3. Non l'avevo mai vista in quest'ottica. Eppure a farci caso è scritta proprio così. Chissà perché i professori non te lo spiegano (quasi) mai.

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  4. e quel "si sta", voce del verbo stare, dal participio passato di essere, che allude sia ad un tempo precedente sia alla fissità ed immobilità, immobilità immediatamente contraddetta dal paragone con la caducità della foglia autunnale...

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  5. si sta come d'agosto a napoli le pizze ... per le pause fate voi

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  6. E grazie a tutti, per i complimenti, e per i complementi di interpretazione.

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  7. Che bel post. E che bel blog. Lo salvo subito tra i links.

    Grazie.

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  8. *scrib scrib*

    Prendo nota. Grazie prof! =)

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)