giovedì 1 settembre 2011

la parola «migranti»

di lo Scorfano

Ho deciso, qualche tempo fa, che avrei usato sempre la parola «migranti». So che a molti non piace, so che molti la ritengono superflua, perché abbiamo già altre parole per dire la «cosa»: ma le altre parole non mi piacciono, però.

Non mi piace «immigrati», perché è un participio passato, una forma statica e immobile. E poi, soprattutto, c'è quel prefisso in-, che già indica una prospettiva, una priorità, uno luogo da cui si guarda e si decide chi sta dentro e chi sta fuori. Io, dentro: in-; Tu, fuori: ex-. Ed è per quello che, naturalmente, non mi piace nemmeno la parola «emigrati». Anche «extracomunitari» (se non fosse orribile di suo) avrebbe sempre e comunque un prefisso mostruoso, che non funziona: extra- è di nuovo il fuori, addirittura il contro. E anche lui, l'extra, stabilisce subito una graduatoria: io che sto dentro, tu che stai fuori; io, dentro, contro chi sta fuori.

Quindi ho scelto «migranti», anche se a più di qualcuno non piace proprio. L'ho scelto perché è un participio presente, che indica movimento.  
  E il muoversi è ciò che ci fa uomini, da sempre; forse è ciò che fin dall'inizio ci fece uomini (la ruota, il racconto, il ritorno a casa di Ulisse: tutti movimenti); se è vero che l'amore che ci fece all'inizio dei tempi è l'amore che, tra l'altro, muove «il sole e le altre stelle».

E poi lo sguardo: la parola migrante non ha sguardo tra dentro e fuori, non sa distinguere, non sceglie. Il suo sguardo sembra dall'alto, vede la terra rotonda e gli uomini che le si muovono sopra, onde che vanno e che tornano, stranieri in una casa di nessuno, perché è di tutti. È un participio presente, la parola «migranti», ma contiene il passato: la radice del primo homo sapiens, il suo patrimonio genetico, il bipede che dall'Africa arrivò in Asia e poi in Europa e poi in America, fino all'ultimo che oggi sbarca su una costa di un'isola piccola, e chiede aiuto. E c'è anche il futuro, dentro il presente «migranti», il nostro muoverci, i nostri passi che si incontrano, si fanno saluto, stretta di mano, parole che si incrociano e si mescolano una con l'altra.

Perché il muoversi è incontrarsi ed è mescolarsi, e dunque è imparare e dunque è cultura e dunque è futuro. Per questo ho deciso che userò sempre la parola «migranti», d'ora in poi, anche se so che a moltissimi non piace. Perché, tra tutte quelle che abbiamo, è la parola che meglio incontra il futuro.

14 commenti:

  1. Bello il post...ma il migrante prima o poi vorra' immigrarsi da qualche parte, no?

    Uqbal

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  2. Professo', sai che capisco perfettamente?
    Strano, vero? :P

    Però mi hai fatto tornare in mente Dante.
    Avrei bisogno di una noterella; maledetta astinenza ;)

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  3. Secondo me a molti non piace questo tuo termine per solamente perchè non siamo abituati a sentirla: ormai in testa abbiamo le parole "immigrato" e "extracomunitario" (e io non ci vedo niente di male in quest'ultima, significa che è al di fuori della UE, anche se poi noi gli diamo un altro significato!), e cambiare mentalità su un argomento simile (anche se si tratta solo di un termine) non è per niente facile...
    Però la tua idea mi piace!

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  4. Forse, però, il migrante cerca anche un posto in cui fermarsi, in cui sentirsi a casa, o quasi. Magari non per sempre, magari solo per un po'. Ma, almeno per quel tempo, vuole sentirsi uno che sta da qualche parte e non uno che va.
    Non è che il participio presente ci toglie quel momento di quiete, ci priva del tentativo di trovare un spazio nostro ovunque nel mondo, o almeno dell'illusione che questo sia possibile?
    Agota

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  5. anche a me piace "migranti", solo che ai miei alunni non era ben chiara la differenza tra un migrante e un turista...

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  6. @Agota
    (e anche un po' per Uqbal)
    Forse il participio presente ci fa sentire come dobbiamo: in movimento. senza l'illusione che ci appartenga una sola terra o che appartentiamo ad essa o cose del genere. Forse è un monito.

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  7. La parola migliore senza dubbio.
    E migranti, lo siamo tutti, nonostante la chiusura mentale che naturalmente ci cade addosso mentre gli anni passano e le certezze s'induriscono. Siamo costretti ad essere, nella connected age, migranti culturali, dalle identità multiple e mobili.

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  8. Ecco, mi pare che Pisacane abbia ribadito con sintesi efficace.

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  9. Ribadimento per ribadimento anche io aggiungo che migranti lo siamo tutti, dal momento della nascita fino al momento della partenza dal corpo fisico.

    Siamo sul pianeta di passaggio, per alcuni anni e decenni, per poi andare.... chissà dove.

    E poi, magari, per ritornare, chissà quando e chissà come.

    C'è chi lo crede. Ed io ce credo. Alla romanesca.

    Marcolino

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  10. Io nun ce credo, però è vero che semo de passaggio, tutti.

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  11. Io mi taccio sempre davanti alle tue parole, Scorfano, perché ogni volta resto folgorata :-)
    Però. L'unica cosa che non mi piace è quando chiamiamo migranti gli altri senza pensare che anche noi siamo di passaggio etc. etc. (e nun ce credo che dovemo torna', almeno lo spero). Mi sembra di togliere, a quelli che chiamiamo migranti, la possibilità di fermarsi da qualche parte e riposare, magari ne hanno voglia pure loro.

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  12. Non mi lusingare, collega, che in fin dei conti hai molta ragione tu, in quello che aggiungi.

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  13. Gentile LGO,

    vedrai che anche tornando, di quando in quando, in altro tempo ed in altro luogo, migranti del tempo e dello spazio, si avrà abbastanza spazio tutti quanti.

    Fermarsi e riposare, magari giusto un attimino, pronti alla ripartenza, al movimento, alla migrazione.

    E perchè spereresti di non dover-voler ritornare? Tirchieria? Dimmi dimmi che mi interessa molto.

    Marcolino

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  14. Anche io sono un migrante. Ecco, ho fatto outing (ma forse se n'erano già accorti tutti dall'accento).

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)