mercoledì 21 settembre 2011

la tassa sui pantaloni corti

di lo Scorfano

Che i miei studenti venissero a scuola in calzoncini corti e infradito mi ha sempre dato da pensare, l'ho già scritto (e mi ha sempre dato anche un po' fastidio, l'ho già ammesso). Però, mi dicevo, se i loro genitori glielo permettono, non sono certo io quello che deve mettere becco nella questione. E ho anche pensato al fatto che io non metto mai la cravatta, per esempio, e che anche ieri ero a scuola in jeans e camicia, per altro esempio (e che un consigliere della mia regione va in giro vestito così, per ultimo esempio); e quindi ho sempre taciuto.

Ma proprio ieri, mentre con i miei jeans entravo in seconda, ho notato che i ragazzi di quella classe portavano tutti i pantaloni lunghi. Ho pensato: è perché ha rinfrescato. Ma non era vero: fa ancora caldo qui, e soprattutto fa caldo nelle aule. Sono rimasto qualche secondo zitto e perplesso. Poi, forzandomi un po', ho chiesto: «Cos'è successo? Nella manovra finanziaria hanno messo una tassa anche sui pantaloni corti?»

Loro hanno riso.   Poi uno mi ha detto: «È stato il nuovo prof di storia dell'arte. Ha detto che se vede qualcuno in pantaloni corti a scuola gli dà 100 pagine in più da studiare sul libro». Ed ecco, quindi, immediatamente spiegati i pantaloni lunghi di tutti i maschi della classe (oltre 20 maschi, per la precisione).

Quindi era molto facile la soluzione, e inutilissime le mie perplessità: bastavano, come sempre, le minacce. Ma io, che mi sono sempre chiesto perché i genitori mandassero i figli con le ciabatte e pantaloni corti a scuola, ora mi chiedo: Ma che fanno adesso i genitori? Si piegano davanti alle minacce di un prof appena arrivato? Succede che un figlio arriva a casa, riferisce la minaccia del prof e, a quel punto, loro lo mandano in pantaloni lunghi? E nessuno di loro protesta?

No, infatti, lo so già: nessuno protesterà. E i ragazzi verranno a scuola per due giorni alla settimana (quando vedono il prof di storia dell'arte, ovviamente) con i pantaloni lunghi; e il resto della settimana continueranno a venire con i pantaloni corti, finché non farà davvero freddo. E le mamme e i papà tranquilli, sia prima sia dopo le minacce. E a me, ve lo confesso, sembra tutto (dalla prima all'ultima cosa) molto, ma molto, strano.

18 commenti:

  1. però il consigliere della nostra regione se ne andava solo a spasso con quell'outfit, o almeno non abbiamo prove che lo indossasse mentre lavorava (nessun double entendre inteso).

    RispondiElimina
  2. E' vero. Infatti il consigliere della nostra regione l'ho infilato dentro più che altro per simpatia, diciamo. ;)

    RispondiElimina
  3. E poi c'è Calderoli: pantaloni corti e cravatta.

    RispondiElimina
  4. io sono all'antica, nostalgico della scuola gentiliana, e vorrei grembiuli fino alla quinta superiore.

    RispondiElimina
  5. Noi, plus1, andavamo vestiti non in pantaloni corti, ma in modo piuttosto ignobile comunque, eh...

    RispondiElimina
  6. non tentarmi, potrei digitalizzare le foto del liceo

    RispondiElimina
  7. Ciao! Sarebbe divertente, però :)
    Scherzi a parte, ai miei tempi il Preside mandò una circolare per evitare, pena sospensione, l'abbigliamento "da spiaggia" (e dire che a Palermo, in estate...). La reazione fu esattamente l'opposta: pure chi non vestiva in quel modo, come me, trovò fuori luogo l'invito e la minaccia. Occorrerebbe dialogare e far ragionare, non imporre a dei ragazzi come a dei soldatini. Ma così facendo, senza volerlo, il Preside provocò in noi una presa di posizione e nella scuola confronti e discussioni. Fessi noi di allora o i ragazzi che fanno fesso il Prof. per due giorni a settimana?
    ohana

    RispondiElimina
  8. Io sono per la divisa nelle scuole dell'obbligo, come in Inghilterra. Così la piantiamo di fare i fighi e dilapidare il bilancio familiare con i capi firmati.

    RispondiElimina
  9. I miei figli vanno in una vituperata scuola cattolica salesiana. Si alzano quando entra un insegnante, e aspettano il permesso per sedersi. Agli stessi si rivolgono con ‘professore’ e non ‘prof’, profio’ o similari. L’abbigliamento è consono al luogo, e chi non si adegua, al terzo richiamo è rimandato a casa per cambiarsi e si deve ripresentare accompagnato dai genitori. Se in classe squilla un telefono, questo è immediatamente requisito e consegnato al preside: lo potrà riavere solo il genitore presentandosi di persona. Le parole scurrili sono sanzionate severamente. Continuo?
    Eppure i miei ragazzi sono sereni, vanno a scuola volentieri perché si sentono ‘individui’ e non matricole su un registro. Però questo in una scuola pubblica non si può fare, perché schiere di genitori interverrebbero in nome della libertà di espressione. Ah! Studiano, molto, tanti non ce la fanno e cambiano scuola. Lei che è un insegnante, mi sa spiegare perché nel pubblico c’è stato questo caduta verso il basso? Cui prodest?

    RispondiElimina
  10. @Anonimo
    Molto bello il tuo commento (a parte l'assenza di una qualsivoglia firma, che è un po' una caduta di stile, ma che perdoneremo... ;)) e anche molto utile. In realtà molte delle caratteristiche che descrivi per la "vituperata scuola salesiana" sono valide anche per la scuola pubblica: anche i miei alunni si lazano quando io entro in classe, per esempio, perché glielo insegno; anche io requisisco il telefono (e restituisco la sim) e lo consegno in presidenza, benché in realtà mi sia successo solo una volta in 18 anni; e anche i miei alunni vengono da me trattati come individui. Restano fuori l'abbigliamento e il titolo "prof" con cui mi si rivolgono. Ma soprattutto resta fuori la più impotante delle caratteristiche che lei elenca: lo studio.
    Secondo me, nella scuola pubblica, si studia troppo poco; il resto sono tutto sommato, dettagli; e, gliel aassicuro, mi fa piacere che esistano scuole private cattoliche in cui invece si studia molto, perché, al contrario, in quella dove ho insegnanto io per sette anni si studiava ancora meno che nella pubblica e alla fine dell'anno si veniva promossi. so che esistono scuole come quella che lei descrive e me ne compiaccio.
    Non perché gli alunni portanto i calzoni lunghi, ma perché gli alunni studiano e i genitori sono felici che gli alunni studino tanto. Questo, secondo me, è l'essenziale.
    E infine, per rispondere degnamente alla sua domanda finale: Nemini prodest.

    RispondiElimina
  11. Basterebbe molto meno: chi è in pantaloni corti, subisce più interrogazioni e più difficili. Se uno studente vuole portare pantaloni corti, deve studiare di più.
    ilcomizietto.pessimo.insegnante

    RispondiElimina
  12. Rispondo per primo all'Anonimo. È vero, nella scuola pubblica, sull'onda di una sciocca demagogia seguita al '68, si accetta quasi qualunque comportamento, quasi ovunque, mentre nelle scuole private, particolarmente quelle rette da religiosi, c'è la tendenza a voler creare un'élite, quando non possibile di cultura, almeno di comportamento.
    Basta però, come nell'esempio citato, che gli insegnanti si oppongano, cortesemente ma fermamente, alla rilassatezza nei modi, NON accettando per esempio il “tu” dai ragazzi ed esigendo un minimo di comportamento educato, per mettere in chiaro che i docenti non sono dei compagni di scampagnate, ma adulti da rispettare. Penso che anche i genitori dovrebbero apprezzare ciò, visto che molti, troppi ragazzi si comportano con i genitori prendendoli a dir poco sottogamba (ho sentito, per strada, ragazzini trattare come stracci da pavimento i genitori, con palese umiliazione degli stessi, che però si limitavano ad abbassare la testa e “abbozzare”!).
    In quanto ai pantaloni corti, vi ricordo (o meglio v'insegno, siete troppo giovani per ricordare) che quello che ora può essere visto come trasandatezza e menefreghismo, fino agli anni '50- primi anni '60 era una regola: spesso anche d'inverno, i ragazzi perlomeno fino ai 15 anni d'età usavano pantaloni corti, calzini e scarpe allacciate, nella migliore delle ipotesi d'inverno i calzettoni. Mettere i pantaloni lunghi, arrivando alla scuola superiore, era come mettere le calze di nailon per le ragazze! le quali invece (anch'io!) usavano il grembiule fino all'ultimo anno: eventuali confronti sull'attualità ed eleganza dei rispettivi “look” si facevano fuori, per strada o alle mitiche “festine”.

    RispondiElimina
  13. Io quest'anno lavoro in una privata cattolica in cui c'è la divisa, ma gli studenti sembrerebbero non badarci troppo.

    Vengo chiamato professore così come nella pubblica (nota a latere: alla scuola media al nord dicevo prof., qui nel meridione, quando chiamai prof. la prof. fui redarguito).

    Non si alza nessuno con me perché non mi importa una cicca di questo atto di rispetto abbastanza esteriore, mentre nella pubblica ero quasi l'unico a non pretendere questo omaggio.

    Nelle superiori pubbliche ho trovato ottime classi nei licei di provincia e pessime in centro città.

    La privata dove lavoro ora è in centro ma gli studenti mi stanno stupendo per disponibilità al lavoro e preparazione.

    Così, per contribuire. Nel merito: 100 pagine di storia dell'arte e ci hanno pure creduto? Mah.

    U.

    RispondiElimina
  14. Ecco, appunto: nessuno si stupisce di quel prof? sembra normale che si studi così?
    A me no, sinceramente.

    RispondiElimina
  15. @scorfano: io ho fatto il liceo dai salesiani, non mi ricordo come chiamavo i professori (penso "professore", sicuramente non si parlava di pantaloni corti ma neppure di maniche di camicia tirate su... e i risultati scolastici della classe te li ho scritti un par di settimane fa (direi di sì, che formavano un'élite culturale). In compenso sempre a Torino c'era il Sociale, gestito dai gesuiti, che mi dicevano essere più un diplomificio.

    RispondiElimina
  16. hahaha prof, ma dove le vai a beccà certe foto? la faccia di tremonti mi fa sganascià! sembra che pensi "cavolo che idea la tassa sui pantaloni covti! la mettevò nella pvossima manovva!"

    RispondiElimina
  17. Ma che male c'è nei pantaloni corti? Davvero. La fatica, il lavoro, anche una certa austerità, sono inevitabilmente fondamentali – e perciò da celebrare – nella scuola, ma come mezzo, mica come fine. Cioè, perché imparare è una cosa molto bella, e richiede dell'impegno, "dei sacrifici".

    Però non è nel sacrificio il valore, quanto in ciò che s'impara. E se c'è un modo per limitare quel sacrificio, senza perdere niente dell'insegnamento – perché dài, il caldo è caldo – perché considerarlo una lavativa violazione?

    RispondiElimina

(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)