giovedì 29 settembre 2011

quell'uno soltanto

di lo Scorfano

Il concerto, anzi la lezione-concerto, è obiettivamente bello e interessante, anche per uno come me che di musica capisce ben poco. Il pianista non è solo bravo: sa suonare ma anche raccontare, spiegare, avvicinare. E introduce la musica di Debussy quasi descrivendone le note, rendendola narrazione, interpretandola con le parole e  contemporaneamente suonandola con dita leggere. Lo spettacolo, che ha ottenuto ampi consensi di critica, è davvero illuminante e intenso. E io capisco finalmente qualcosa di Debussy e di Ravel, dei loro suoni, della loro musica, della loro misteriosa bellezza. Il concerto-lezione è quindi obiettivamente interessantissimo, ma io non riesco a godermelo quasi per niente.

Perché siamo nell'aula magna dell'istituto, ci sono più di trecento studenti della scuola superiore (che assistono allo spettacolo volontariamente) e il frastuono è quasi insopportabile. A occhio, guardandomi in giro, direi che su trecento ragazzi solo trenta stanno veramente a sentire la musica e le parole del bravissimo concertista: gli altri 270 (adesione volontaria anche per loro) fanno altro, tutt'altro. Giocano con il telefono cellulare (erano stati invitati esplicitamente a spegnerlo, prima dell'inizio); chiacchierano con i compagni di fila; colpiscono a tradimento le orecchie dell'amico seduto davanti; sbadigliano; dormono; ridacchiano; provano a fuggire dall'aula bloccati dal collega che sta sulla porta; e alcuni ce la fanno anche, a fuggire, e chissà se torneranno mai.

Insomma, è il disordine, il disinteresse, la maleducazione, il casino.  
  Io non posso nemmeno ascoltare la musica e le parole, o quasi. Debbo continuamente girarmi, guardare negli occhi quello che alza la voce, fare un segno a quello che ha le cuffiette dell'iPod infilate nelle orecchie e sta proponendo al vicino di ascoltare tutt'altro, lanciare uno sguardo minaccioso verso le due ragazze che stanno scrivendo un sms. E l'ora di concerto-lezione mi passa così, a tenere silenziosamente e nervosamente a bada 270 ragazzi di sedici o diciotto anni che non hanno nessuna intenzione di ascoltare la musica che sono venuti ad ascoltare.

E d'improvviso mi rendo conto di ciò che avrei voglia di fare, se potessi.

Prenderne uno, uno a caso di quelli che fanno casino, e ridono, e alzano la voce, prenderne uno soltanto e gridargli in faccia parole didatticamente inopportune: come «idiota», «imbecille», «testa di cazzo». E poi continuare, afferrarlo per il colletto e portarlo in corridoio; e da lì prenderlo a calci fino alla sua aula, a calci nel culo, facendogli male, umiliandolo davanti a tutti i suoi compagni, prendendolo a botte e a insulti, finché il concerto non sia finito e io possa tornarmene a casa finalmente soddisfatto. E ascoltarmi in santa pace un cd di Debussy.

Ma non posso farlo, naturalmente; sarebbe molto spontaneo, ma non sarebbe il mio mestiere. E quindi sto zitto, aspetto che passi, mi volto e lancio sguardi di minaccia a ragazzi che nemmeno conosco. Poi il concerto-lezione finisce e tutti applaudono, anche quelli che non hanno ascoltato nemmeno una nota, applaudono fortissimo, di un applauso che si direbbe liberatorio. Ma non è vero, non è liberatorio: è solo un po' di casino supplementare, ai ragazzi piace fare casino, anche un applauso, alla bisogna, può fare al caso loro.

E anch'io esco, e penso che il pianista era molto bravo e la sua lezione ottimamente pensata e riuscita, avevano ragione le recensioni dei giornali. Peccato per quelli che non l'hanno ascoltata, mi ripeto. E mi dico che almeno c'erano quei trenta visibilmente interessati, che per quei trenta ne è valsa la pena, anche di farsi il sangue amaro e coltivarsi pensieri omicidi. E magari, mi illudo, magari tra gli altri 270 ce n'è stato uno, anche uno soltanto, che d'improvviso ha capito qualcosa, che senza nemmeno volerlo e sforzarsi ha colto per qualche istante la bellezza della musica di Debussy che stava ascoltando. Ecco, mi sussurro sorridendo mentre guido in galleria, ecco, anche solo per quell'uno sconosciuto ne sarebbe valsa la pena. Del rumore, dei cellulari, degli iPod, delle fughe tentate e di quelle riuscite: se lui, quell'uno soltanto, ha capito qualcosa, se ha colto la bellezza di qualcosa, anche se è stato uno solo, ne è valsa senz'altro la pena.

E quindi mi aggrappo a un volto sconosciuto, un ragazzo o una ragazza che magari tornerà a casa e cercherà di sapere qualcosa di più della musica che oggi, a scuola, gli hanno fatto ascoltare. Speriamo, insomma. Il mio mestiere consiste anche in questo, nel non prendere a calci quelli che avrei voglia e che si meriterebbero di essere presi a calci. E poi nello sperare che per qualcuno sia valsa la pena. E infine, che è la cosa indubbiamente peggiore, il mio mestiere consiste nel rassegnarsi non sapere chi sia quell'uno soltanto che d'improvviso ha capito e apprezzato, nel non vederne mai la faccia, nel non conoscerlo mai, nel non pretendere mai di saperlo, nel semplicissimo e difficilissimo sperare che esista. E questa, lo capite bene, è anche, tra tutte le cose in cui consiste il mio mestiere, la più difficile.

7 commenti:

  1. colpirne uno per educarne cento, mi trovi d'accordo

    RispondiElimina
  2. Non mi sembra che trent'anni fa fosse molto diverso (almeno nell'identica situazione, tolti gli iPad o Iphone vari), e poichè il numero aumenta la sicurezza individuale è difficile dire se sono più maleducati adesso o allora. Io avrei fatto una cosa diversa: un piccolo test all'ingresso, magari semplice semplice, una domandina sulla musica classica, di quelle facili, ma dalla quale capire se almeno in minima parte chi entra sa o è interessato a quel genere di musica. Capisco che così si impedisce a qualcuno, eventualmente, di essere fulminato sulla via di Damasco ma, come dici, esiste veramente e si riuscirà mai a sapere chi è questo qualcuno? Ma forse il concertista o chi per lui preferiva una seppur chiassosa folla a un'attentissima sala semideserta?

    RispondiElimina
  3. @paopasc
    Il test all'ingresso è impraticabile, per il motivo semnplice che siamo una scuola: dobbiamo verificare dopo, non prima. Anche se a volte, la tentazione...

    RispondiElimina
  4. Tutta la mia ammirazione per il tuo autocontrollo e la tua speranza che non vengono meno, nonostante tutto.
    Io non ce l'avrei fatta: avrei assegnato loro una ricerca da fare e, lo ammetto, non per fini educativi (che anzi sarebbe meglio lasciar fare alla loro iniziativa personale), ma per puro sadismo.
    Scusate, ma questi ragazzotti imbecilli di oggi (ma anche di ieri) certe volte proprio non li digerisco. Non sono mica bambini a quell'età, dovrebbero almeno mostrare rispetto per una persona che sta offrendo loro qualcosa di se'. Almeno un po' di educazione, nien'altro.
    Ma per fortuna ci sono Insegnanti veri come te e tanti altri che sanno come prenderli e sanno o sperano che il tempo e il silenzio opereranno in loro meglio di una reazione istintiva.
    ohana

    RispondiElimina
  5. Mi hai un po' sopravvalutato, ohana. Non erano miei alunni, non avrei potuto assegnare loro una ricerca... E poi le ricerche le copiano dal web. No, fossero stati miei alunni, sarebbe finita peggio... ;)

    RispondiElimina
  6. Quando ero alle medie ci portarono al cinema ad assistere ad un concerto. Accadde pari pari quello che hai descritto qui.
    Credo che il problema sia l'organizzazione. Forse 300 persone sono troppe. Forse i ragazzi vanno preparati con un lavoro MOLTO lungo con il concerto come conclusione. Forse il cinema (o l'aula magna non vanno bene) magari funziona di più la palestra. Mi fermo, i motivi possono essere mille.
    ...
    Immagino un volto sconosciuto, un ragazzo o una ragazza che magari tornerà a casa e cercherà di sapere qualcosa di più della musica che oggi, a scuola, gli hanno fatto ascoltare... digiterà: concerto Debussy e Ravel su Google... e troverà questo post ;)

    RispondiElimina
  7. E' difficile da digerire ma forse funziona davvero così: si parte da uno, poi da tre, poi trenta, poi trecento.

    Ognuno al suo tempo personale, al suo kairos.

    Peccato per quelli che devono sopportare il chiasso ed il disturbo, mentre sono trasportati dalla magia della musica e del suo apprendimento guidato.

    Esiste anche la legge di Murphy: gli ostacoli sono necessari e fortificano contro le sbucciature.

    Marco

    P.S.
    Lo so, lo so, la mia è una interpretazione poetica della vera legge di Murphy e dei suoi vari assiomi:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Murphy

    RispondiElimina

(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)