sabato 24 marzo 2012

la lacuna del cuore

di lo Scorfano


«Non hai scritto nemmeno una riga sulla Giornata mondiale della Poesia, che è stata due o tre giorni fa... Nemmeno una parola, niente. Ma te ne sei dimenticato?»

No, non mi sono dimenticato. Non potevo nemmeno dimenticarmene in realtà, perché in tantissimi sul web (e in tantissimi su twitter) ne hanno parlato e scritto e raccontato e citato e laicato e  ritwittato. Ma forse è stato proprio questo a mettermi malinconia, a farmi desistere, a dirmi che forse non ne valeva la pena ed era meglio tacere. Come se la poesia fosse morta, come se non esistesse più, come se le «giornate mondiali» fossero riesumazioni che non parlano a nessuno e che non servono a niente. E quindi ho taciuto.

Perché la sensazione è che non ci sia davvero niente da dire se non citare qualche verso distante decine o centinaia di anni. Perché la poesia non si vende e soprattutto non si legge più: e gli scaffali dei poeti nelle librerie sono infatti vuoti.
Magari succede ogni tanto che un poeta conosca un'improvvisa fiammata di moda (come è accaduto a Neruda o a Auden, negli scorsi anni, e oggi sta accadendo alla Szymborska, grazie a Saviano): ma è solo un fuoco di paglia, che si spegne presto. E così anche queste ricorrenze o giornate (ma c'è ancora qualche numero libero sul calendario o tra un po' dovremo allungare i mesi e l'anno per farci stare dentro tutto quello che rischiamo di dimenticarci o che semplicemente ci siamo già dimenticati?), ecco queste giornate sono ricordi di cose morte, polverosi reliquiari, vecchi come le vecchie zie che a Natale ti dicevano sempre le stesse quattro inutili parole. Come la poesia.

Che nessuno legge più e che risuona sconsolata soltanto nelle tristissime aule scolastiche, ormai. In mezzo agli sguardi un po' sprovveduti e un po' annoiati degli studenti, che poi imparano a fare qualche parafrasi, qualche inutilissima analisi del testo. Ma non inutile, in realtà: utile a fare di loro dei futuri non-lettori di poesia, anche loro, per sempre.

E infatti ogni volta che qualcuno cita un verso di una poesia studiata a scuola, venti o trenta anni fa, non sembra affatto che stia citando quel verso ma soltanto se stesso: e il suo essere stato giovane e studente anche lui, altro che poesia. Perché obiettivamente la poesia, te ne rendi conto anche da solo, chiede troppo agli uomini che percorrono i giorni rapidi del duemila. Perché è troppo il silenzio che la poesia richiede per essere compresa; perché è troppa la lentezza che le serve per agire; mentre i giorni sono veloci, gli attimi sfuggono e ci sfuggono, il chiacchiericcio del mondo aumenta e ci lascia senza poesia, infatti. Perché le parole della poesia pesano troppo per le nostre spalle così deboli, di uomini pronti a comunicare tutto senza sapere più comunicare niente.

«Allora è nostra la colpa?» 

No, non credo che ci sia colpa. O forse è della poesia stessa la colpa, ma forse non è nemmeno importante: le colpe, tutto sommato, non sono quasi mai importanti. E allora semplicemente, oggi, del tutto fuori tempo massimo, mi limito a copiare qui una poesia che ho riletto per caso nei giorni scorsi e che non mi lascia più pace, mi rincorre ovunque vada e dovunque io cerchi di nascondermi. Una poesia di soli quattro versi, scritta da Vittorio Sereni negli anni Sessanta; una poesia che parla di un ritorno che non può essere più un ritorno, perché i luoghi sono gli stessi (ed è un lago, come il mio qui sotto casa) ma l'uomo che lo rivede è troppo diverso per poterlo riconoscere; e c'è anche Dante, dentro quei quattro semplici versi, un Dante che non sappiamo più leggere (e un bravo a chi lo scova, tra parentesi); e poi c'è la nostra mancanza (che non è una colpa, come vedi), appena accennata, con tratto veloce di penna, come solo Sereni ha saputo fare negli ultimi cento anni. E speriamo che ci sia anche abbastanza silenzio, qualche volta, per sentirla.
Un ritorno

Sul lago le vele facevano un bianco e compatto poema
ma pari più non gli era il mio respiro
e non era più un lago ma un attonito
specchio di me una lacuna del cuore.

9 commenti:

  1. Il "lago del cor", altroché.

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  2. Ma mi diceva mia sorella che in realtà ad esempio in UK la poesia non è così irrilevante, e che ai loro poeti laureati ci tengono, e non è solo pompa.

    Poi: partendo dal presupposto che la letteratura in Italia non se la passa bene in genere (ma sul Post tempo fa uno mi ha segnalato un sacco di autori contemporanei che non conosco), capita che ci siano epoche meno poetiche di altre. Secondo me scontiamo un intellettualismo, in poesia, che ancor ci offende (e rende credibile un personaggio come Brunello Robertetti di Guzzanti). Le poesie dell'ultimo Nobel onestamente, almeno quelle che sono circolate, a me fanno cadere le braccia. Mentre mi piacciono i versi che Benni infila nei suoi romanzi, o nelle rare poesie che pubblica come tali.

    Così, estemporaneamente, mi vien anche da dire che il problema, ormai, è che facciamo coincidere la poesia con la lirica, e quest'ultima oramai è giunta agli ultimi tenui languori. Non esiste più la poesia narrativa (men che meno eroica), satirica, o di altro genere non intimamente lirico e sublime o filosofico. Forse è questo che, almeno in Italia, tendenzialmente condanna la poesia.

    Ma l'importante è che la poeticità (la Poesia crocianamente intesa, se si vuole) resista altrove: ci sono fumetti meravigliosamente elegiaci (spesso non italiani, però), canzoni dotate di una piena consapevolezza artistica e spirituale, ecc. ecc. Sono flussi e riflussi, niente di spaventoso.

    Uqbal

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  3. Non conoscevo questa poesia. Grazie!

    Anna

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  4. io conosco invece bene il lago di quella lacuna. L'ho davanti anche ora, in silenzio.
    Lui, io e la tua luminosa scrittura

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  5. Perché oggi non si leggono più le poesie?
    “Perché la poesia chiede troppo agli uomini che percorrono i giorni rapidi del duemila. Perché è troppo il silenzio che la poesia richiede per essere compresa; perché è troppa la lentezza che le serve per agire; mentre i giorni sono veloci, gli attimi sfuggono e ci sfuggono, il chiacchiericcio del mondo aumenta e ci lascia senza poesia, infatti. Perché le parole della poesia pesano troppo per le nostre spalle così deboli, di uomini pronti a comunicare tutto senza sapere più comunicare niente.”
    Ho preso queste tue parole e le ho usate, citandoti, sul mio blog per i miei alunni (e i loro genitori) di prima e terza media, senza aggiungere altro. domani ne parlerò in classe.
    Grazie.

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    1. Grazie a te, in realtà.
      E grazie ancora di più se vorrai, quando potrai, raccontare sul tuo blog quali sono state le reazioni.

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    2. Piccoli poeti, piccoli pensieri, piccole parole... ma che bello parlare ancora di poesia a piccoli dodicenni!
      http://paroleblu-claudiapaternoster.blogspot.it/2012/04/piccoli-poeti-crescono.html#comment-form

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(Con educazione, se potete. E meglio ancora se con un nickname a vostra scelta, se non vi dispiace, visto che la dicitura Anonimo è brutta assai. Qualora a nostro parere doveste esagerare, desolati, ma saremmo costretti a cancellare. Senza rancore, naturalmente.)