venerdì 6 aprile 2012

La pigrizia e gli scrittori (i blogger)

del Disagiato

A me il regista Igmar Bergman piace tanto e così tanto che alcuni suoi film penso di averli visti due volte e addirittura alcuni anche tre volte. Certo, ci sono film non di Bergman che penso di aver visto dieci volte, ma guardare un film suo anche solo tre volte significa che quel film è un capolavoro. Perché se è vero che lui è un ottimo regista, è anche vero che le sue fatiche sono fatiche anche per lo spettatore. Motivo? Per la lentezza dei dialoghi, per esempio, o per la pesantezza dei dialoghi o per l’estrema poeticità dei dialoghi, o per l’eccessiva raffinatezza dei dialoghi. Insomma, se tutti i film del mondo fossero come i film del regista svedese, gli spettatori sarebbero nei pasticci. Nei film di Bergman spesso la macchina da presa rimane immobile e gli attori se ne escono dall’inquadratura. A noi, in questo modo, tocca ascoltare un dialogo (lento e sussurrato, magari) guardando un tavolo o una sedia o una finestra o una faccia immobile che subisce le parole di chi sta fuori campo: e "fuori campo" è, appunto, la tecnica cinematografica che fa capitare le cose al di là dei bordi dell’inquadratura.

Qualche settimana fa mi hanno regalato un film di Bergman che s’intitola Come in uno specchio. Il dvd l’ho messo su un mobile che sta accanto al televisore e lì è rimasto parecchi giorni, sorpassato da altri film. Perché se è vero che Bergman è un genio è anche vero che la genialità ha bisogno di un occhio attento e lucido, di comodità, di pace, di serenità e di altre cose che chi ha un minimo di passione per il cinema conosce bene.

Torno a casa dalla libreria alle nove di sera, mangio, leggo rapidamente le prime pagine dei quotidiani, scrivo un paio di mail e poi la voglia di guardare un film del tipo Come in uno specchio passa. E quindi per un bel po’ di giorni ho preso in mano il dvd, l’ho fissato e poi scuotendo la testa l'ho rimesso giù, al suo posto, ripromettendomi di guardarlo il giorno dopo. Ma il giorno dopo la stessa solfa, perché bello il bianco e nero, belle le inquadrature fisse che sembrano dipinti, belli i fuori campo, però, insomma, alle dieci di sera forse è meglio riposare, svuotare il cervello, distrarsi un po'.

In quei giorni di indecisione (indecisione cinematografica) Paolo Nori sul suo blog ha pubblicato qualche riga su Bergman e su Come in uno specchio. Che coincidenza, ho pensato. Nori mi parla di un film che io ogni giorno vorrei guardare e poi non guardo per stanchezza e forse pigrizia. Ma guarda te che coincidenza. Si racconta, in questo post, di uno spettatore (penso lo stesso Nori, in un libro che uscirà) che a metà del film scoppia a piangere e che giudica quella situazione di lui davanti a Come in uno specchio con le lacrime agli occhi come uno dei ricordi più belli della sua giovinezza.

Allora, visto che ne ha paralato Paolo Nori sul suo blog, la sera dopo ho visto il film. Sono tornato a casa dalla libreria alle nove di sera, ho mangiato, ho letto rapidamente le prime pagine dei quotidiani, ho scritto un paio di mail e poi, nonostante l’ora e la stanchezza, ho guardato il film di Bergman. E il film mi è piaciuto tanto, anche se non ho pianto. Chissà in quale scena lo spettatore del post di Nori è scoppiato a piangere "come una vite tagliata". Possibile che io non abbia mai mosso un muscolo della faccia? E in quel momento avrei tanto voluto avere il numero di telefono di Nori e chiedergli spiegazioni: “Scusi se la disturbo a quest’ora ma volevo chiederle in quale scena lei (è lei che ha visto il film, vero?) ha pianto come una vite tagliata”

Ma il numero di telefono di Nori non ce l’ho e quindi niente telefonata. E ho poi ho pensato, anche dopo aver letto quello che dice un radiologo, che è già tanto che qualcuno mi abbia levato dalla pelle la fatica e che forse è per questo, e non solo, che ci ritroviamo a frequentare tutti i giorni persone senza corpo, senza faccia, fatta di parole e umori: per essere meno pigri, per risolvere quello che quotidianamente lasciamo irrisolto. Poi, magari, noi ridiamo là dove altri non ridono o non piangiamo là dove altri piangono: pazienza, non siamo tutti uguali, mi sembra di aver capito.

3 commenti:

  1. Ciao, A volte mi capita di leggere un blog che scrive di film. Metto qui il link, non perché tu ne abbia bisogno, solo perché forse l'unica figura che può commuovere (non so per Nori) è quella del marito.
    Il blog è questo: http://robydickfilms.blogspot.it/2011/09/sasom-i-en-spegel-come-in-uno-specchio.html

    Se credi, fammi sapere cosa ne pensi.
    Ciao,
    Lara

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  2. Anche se questa splendida recensione non l'avevo ancora letta, il blog lo conosco. L'articolo motiva benissimo la consistenza della figura del padre, però durante il film non sono stato particolarmente toccato da quel personaggio. I film di Bergman, tutti, non mi commuovono mai. O forse mi commuovono dall'inizio alla fine, senza alcun scatto emotivo particolare.

    E sia chiaro che l'analisi fatta sul blog che mi hai linkato è di un livello così alto che io sinceramente penso di non aver capito tutti gli uomori del film.

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  3. E mi dimenticavo di ringraziarti per la segnalazione. Grazie, quindi ;)

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