lunedì 24 giugno 2013

Io sono...

del Disagiato

È normalissimo avere un’idea di noi stessi. Quando si dice che una persona è inconsapevole significa che questa persona non sa delle cose del mondo che lo avvolgono ma anche che non sa dei suoi lineamenti, delle cose che lo riguardano, che gli stanno dentro. La letteratura, penso, può appassionare o riguardarci proprio per questo: perché scopriamo che quello che scorre e succede dentro di noi, non è proprio uguale a quello che sta fuori, davanti a noi. Scopriamo, così, di avere una vita segreta, intima, interiore, inconscia, e la letteratura, forse, ci aiuta a scoprire e a descrivere questa dissomiglianza. La letteratura, ho detto, ma qualcuno potrebbe benissimo dirmi la filosofia, la matematica, la fisica, la biologia, la musica, il cinema eccetera eccetera. Ognuno ha la sua bussola da consultare. Però penso anche un’altra cosa: l’idea che abbiamo di noi stessi dobbiamo tenerla segreta e imprecisa, e aspettare che siano gli altri a dirci come siamo fatti. “Non sono razzista…”, ad esempio, è una definizione che spesso annuncia un discorso razzista: “Non sono razzista, ma tutti questi negri ci stanno rubando il lavoro”. Insomma, è bene avere un’idea di noi stessi, ma secondo me è bene che siano gli altri a darcene conferma.


Io penso di essere una persona sensibile, ma è più sensato e costruttivo che siano gli altri a dirmelo. E già il fatto che me lo dica mia madre, non basta: che io sia una persona sensibile, o non razzista, devono dirmelo gli amici, anzi i nemici, il vicino di casa, le persone che lavorano in libreria con me; non mia madre, che è resa strabica dal troppo amore. Penso anche di essere stato un bravo centrocampista, ma purtroppo mai nessuno mi ha detto: “tu sei un bravissimo centrocampista, ti andrebbe di giocare nel Brescia?”. Ecco, se nessuno mi ha detto così, significa che così bravo come pensavo, e penso di essere, non lo sono. Non ho nulla da dire sulla vicenda che sta coinvolgendo la signora Idem, se non che reputo naturale e umana la sua capacità di definirsi, soprattutto dentro l’urgenza del chiarimento: “Non sono una cittadina infallibile, ma onesta”. Ma sta a noi, alla fine, dire se il ministro è persona onesta. E non tanto, come dice Luca Sofri, perché “non esistono le persone oneste per le regole della comunità” – le persone oneste esistono per le regole della comunità, qualsiasi cosa mettiamo dentro l’espressione “regole della comunità” - ma perché l’onesto farebbe bene, magari proprio per onestà, a non dirsi onesto. Un giornalista o un blogger, per fare un altro esempio, farebbe bene a non definirsi “indipendente” o “intellettualmente onesto” per non apparire, agli occhi dei suoi giudici, bugiardo o anche solo un pizzico vanitoso. Se proprio devo amare il mio prossimo, allora lo faccio per questo e cioè perché per mezzo della serenità che non gli tolgo, sappia capire, e dirmi, come sono fatto io. Che sappia reggermi lo specchio, insomma. Non vedo nessun altro motivo per rispettare gli altri.