giovedì 11 luglio 2013

Provvedimenti

del Disagiato

Allora, un paio di mattine fa suona il campanello di casa mia. Vado ad aprire e alla porta c’è un mio vicino di casa, cioè un signore che abita sotto di me, al primo piano. La sua faccia è abbastanza arrabbiata e in mano tiene una scopa. Vieni con me, mi dice, devo farti vedere una cosa. Io lo seguo giù da basso, standogli dietro, chiedendomi cosa mai ci sarà di così importante da farmi vedere. E di così importante da vedere è terra sparsa per tutto il suo pianerottolo. La terra arriva da un vaso gigante che contiene la base di una pianta – una bellissima pianta, a dirla tutta – adesso quasi rovesciata. “Il tuo gatto”, mi dice lui laconico. E l’unica cosa che riesco a rispondere davanti a tutta quella terra e alla bella pianta agonizzante è: porca puttana. Nient’altro. “Non se ne può più”, continua lui  lavorando di scopa . “Non è la prima volta che il tuo gatto fa questo bel casino. Vedi di prendere provvedimenti”. Io sono davvero dispiaciuto e, balbettando qualche parola, cerco di spiegarglielo. Gli dico che per me è una bella sorpresa e che non sapevo niente di questa cosa. Ma stavo mentendo. Sospettavo, invece. Un paio di mesi fa sono uscito di casa e quando sono arrivato al primo piano ho trovato terra e petali sul pavimento. Il gatto, ho pensato quella volta, e allora sono salito, ho preso la scopa e la paletta, sono ridisceso, ho raccolto le prove del delitto, ho raddrizzato la pianta, sono risalito e ho buttato via tutto. Insomma, sapevo che il gatto aveva già fatto una cosa del genere, mesi prima.

Ma lì, con il mio vicino di casa nervoso, ho finto stupore e dispiacere. “Vedi di prendere provvedimenti, che qui non vivi solo tu”, chiude. E quest’ultima frase, questo “qui non vivi solo tu” mi offende un po’. Anzi, mi offende tanto. Mi ha fatto passare dal torto alla ragione.”Vedrò di sopprimere il gatto”, gli rispondo. E me ne vado, vedendo che lui, per questa bruttissima risposta, ci rimane male. Rientro in casa sbattendo la porta. Poi, dopo aver camminato dalla camera alla sala cinquanta volte, ritorno a ragionare, a fare l’illuminista. Ha ragione il mio vicino, penso. Ha aspettato anche troppo tempo prima di prendere l’iniziativa (a nome anche degli altri condomini?) di suonare e di dirmi in modo civile quello che il mio gatto combina. Perché sì, mi ha detto le cose reprimendo la sua rabbia, cercando di non guastare i rapporti distesi che ci sono sempre stati. E quel “qui non vivi solo tu” ? Giusto. Ha ragione. In questo condominio non vivo solo io, e quindi bisogna prendere provvedimenti. Il gatto va controllato e, se necessario, allontanato. Belli, i gatti, però, insomma…. 



Di pomeriggio vado a lavorare in libreria. Non è che entro e racconto immediatamente alla collega che lavora con me ciò che mi è accaduto poco prima, però, dopo qualche ora e non ricordo più perché, arrivo a dirle del vicino che suona il campanello, della terra e della bella pianta che sta morendo. “Devo fare qualcosa, non si può andare avanti così”, dico rammaricato. E qui viene il bello. La mia collega prende fiato, fa una faccetta strana e poi dice: “Mah, guarda…”. Guarda cosa, le chiedo. E lei mi racconta del suo cane. Il suo cane ha ammazzato un paio di conigli dei vicini, conigli che erano scappati da un recinto o da una gabbia, non ricordo più. E quasi la denunciano, per questa cosa del cane che ha mangiato i conigli. Poi mi racconta di altre vicende legate al cane, a lei e ai suoi vicini. “I cani sono cani”, mi dice, come per dire che i vicini invece sono dei rompicoglioni. Io alla mia collega faccio notare che però nel mio caso la questione è un pochino diversa: un gatto sventra quotidianamente una pianta condominiale. Giusto, quindi, che il mio vicino si lamenti. “Mah”, dice ancora la mia collega, come per dire che i gatti sono gatti e i vicini di casa tutti rompicoglioni. 

Ieri vado a pranzo dai miei genitori. Entro in casa, mi chiedono come sto, come va la libreria e via dicendo. A tavola, con faccia triste e dispiaciuta, racconto del vicino che suona il campanello, della terra, dei petali sparsi per terra e della pianta agonizzante. Dico ai miei genitori, con la forchetta in mano e la bocca piena, che il provvedimento che per il momento ho preso è quello di vietare al gatto di uscire di casa. Mio padre e mia madre ascoltano e ridono. Io parlo, dispiaciuto, morso dal senso di colpa. E loro sorridono, ridono, sghignazzano. Allora chiedo cosa ci sia da ridere. E mio padre mi dà questa risposta: “Ho sempre pensato che il tuo gatto è più una tigre che un gatto”, risponde, intendendo dire che il mio gatto è una bellissima creatura, un animale unico, che non si può domare e al quale è stupido dare divieti. “E allora?”, chiedo. “Niente, è proprio un bel gatto”. Io fingo di non capire (anzi, non ho proprio capito) e poi dico: “In quel condominio non ci siamo solo io e il gatto”. A questo punto mia madre abbassa la forchetta e mi racconta di quando una volta, quando ero piccolissimo, i nostri vicini si lamentavano del fatto che io facessi rumore. “Eri solo un bambino, cristo!”, dice lei quasi urlando, per dire che io ero soltanto un bambino e loro rompicoglioni. La cosa mi stupisce un po’. A questo punto, mi sento toccato sul vivo. Mi immagino io piccolo che gioco e quei rompicoglioni dei vicini che si lamentano. Ma poi rifletto ad alta voce: “Vabbè, ma qui è diverso”. Silenzio. Continuiamo a mangiare. Rumore di posate. “Poi, mi chiedo, cosa ci fanno delle piante sul pianerottolo?”, dice mia madre stringendomi affettuosamente un braccio. 

Ieri sera io e il mio vicino di casa ci siamo incrociati. Mentre lui mi saluta cordialmente, io penso questa cosa: “Hai anche il coraggio di salutarmi”. È stato un pensiero uscito così, d'istinto, come una scoreggia che non ha dato nessun preavviso. Salgo le scale, passo davanti alla pianta oramai rachitica, arrivo al mio piano, apro la porta, accendo la luce, mi inchino a prendere il mio gatto che era lì ad aspettarmi, come sempre. Lo stringo, gli do un bacio sulla testa, gli dico che è bello. Lo coccolo.