sabato 17 agosto 2013

Sei anni più o meno

del Disagiato

(Questo è un post che ho scritto e pubblicato tanto tempo e cioè il 26 novembre del 2011. Davvero non so se sia elegante riproporre pezzi vecchi - che molto probabilmente hanno perso un po' di sapore e di attualità - ma in questi giorni ho ripensato a certe tattiche e vie di fuga che mi stavano, una volta, fisse in testa; e dentro di me, quindi, sono ritornate a galla queste righe. Perdonate, se potete, questo mio mettermi sulle punte dei piedi per vedere meglio la sagoma di ciò che è rimasto indietro. Non penso sia nostalgia.


Una mia collega non c'è più, cioè nel senso che ha presentato le dimissioni, che ci ha salutati tutti quanti e che è andata a guadagnarsi la pagnotta in altro modo. Nei negozi del centro commerciale tutti i giorni c’è gente che riempie gli scatoloni e che se ne va lontano. Per sempre. Allora arrivano facce e atteggiamenti nuovi e via che la giostra ricomincia a girare con i suoi arrivi e con le sue partenze. In tutti i posti di lavoro è così o sbaglio? Quando sei anni fa circa pure io cominciai a vendere libri pensavo che presto me ne sarei andato. “Lavoro per pagarmi gli studi”, pensai il giorno in cui feci il colloquio di lavoro. “Guadagno qualche soldo mentre cerco la strategia giusta da utilizzare là fuori, nel mondo”. Poi il tempo e la pigrizia mi hanno fatto dimenticare che stavo cercando una strategia (e cosa diavolo è una strategia?), poi sono andato a vivere da solo, poi ho smesso di studiare, poi ho cominciato a spingere carrelli all’Esselunga ed eccomi qua a contare gli anni che mi stanno alle spalle: sei anni, più o meno. E intanto molti altri, che erano entrati con me nella mischia del centro commerciale, se ne sono andati per mettere in pratica teorie che avevano in mente da anni.

E questi, a volte (ultimamente moltissime volte), passano davanti alla libreria per farmi ciao ciao con la manina o entrano per dirmi che alla fine si sono laureati, che viaggiano molto, che guadagnano più di prima, che si sono sposati e per dirmi che, insomma, là fuori il mondo non è proprio così bello ma comunque meglio del centro commerciale. “Madonna”, mi dicono, “tu è da sei anni che sei qua”. “Più o meno”, rispondo io. E questa cosa me la dicono, non so se avete presente, alzando il labbro superiore, digrignando un po’ i denti, spalancando gli occhi, come se mi stessero dicendo “guarda che hai una spaventosa cacca di uccello sulla spalla”. Ecco, me lo dicono in questo modo. E io allora faccio la faccia acquosa, priva di espressione e dico “Eh, sai com’è…”. Già, sai com’è, non ricordo più quale strategia avevo in mente. Ero venuto qui per attaccare la vita a morsi e invece mi sono ritrovato a nascondermi dietro i pali.

L’altro ieri un’amica ha cominciato a lavorare in uno dei tanti centri commerciali di Brescia e mentre attorno a noi c’era gente che rideva e si divertiva (eravamo in un locale davvero troppo elegante per i miei gusti) e aveva moltissime cose da dirsi, lei mi ha detto: “Che tristezza il centro commerciale. Anche tu è da tanto che lavori in libreria o sbaglio?”. E dopo avermi chiesto questa cosa si è messa a fissare tutta quella gente che rideva e si divertiva. “Eh, sai com’è”, le ho detto incapace di aggiungere altro. Allora, come una piccola ossessione, mi sono messo ancora a pensare alle strategie perse per strada, ai buchi nella rete che è da tanto di quel tempo che ho smesso di cercare. E intanto io e lei guardavamo tutta quella gente scappata dal recinto, allegra, sorridente, pettinata bene. Da sei anni più o meno che sono lì, mi sono detto di nuovo. E ho dimenticato le mie strategie, ho perso di vista i buchi attraverso i quali si può andare di là. Di là dove? Cosa c’è di là? Boh, non lo so cosa c’è di là.

Adesso però devo spegnere il computer, vestirmi e andare, come faccio da sei anni più o meno, in negozio, altrimenti mi telefonano per chiedere il motivo del mio ritardo. E a me non piace arrivare in ritardo.