lunedì 29 luglio 2013

Contro il razzismo

del Disagiato

Il ministro dell’integrazione Cécile Kyenge ha ricevuto il massimo del sostegno che un paese civile potesse dargli. Sono davvero contento che si sia riflettuto sulla vicenda e che nel nostro mirino siano entrati i razzisti italiani, però scrivo queste righe anche per dirvi che mi dispiace tanto che questa indignazione, e questo parlare di “migliorare la cultura” per sconfigge la xenofobia, siano giunti nel momento in cui la xenofobia e il razzismo hanno toccato un ministro e cioè una persona che rappresenta alla perfezione il potere. Non voglio essere frainteso: da cittadino mi indigno per il lancio di banane e per le parole di qualche settimana fa di Roberto Calderoli, però io non porto nessun sostegno o memento di solidarietà – solidarietà intima, si intende - al nostro ministro Kyenge. La mia impressione è che in noi scatti l’indignazione, la solidarietà e l’arguzia solo quando a manifestarsi è la storia o la vita delle persone che, diciamo così, contano. Momenti di razzismo o di semplice intolleranza ci sono tutti i giorni ma pochi di noi – soprattutto pochi intellettuali – chiediamo ad alta voce, come invece facciamo ora, di agire, di migliorare, di avvicinare i più giovani alla cultura, perché solo la cultura può cambiare il modo di intendere i rapporti umani. Dimostriamo di essere civili e tolleranti solo quando il razzismo appare in vetrina, quando la vittima è, come minimo, borghese.

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Roberto Cotroneo, solo per fare un esempio, un paio di giorni fa ha scritto che il degrado culturale rende gli italiani razzisti: “l’ignoranza, il disprezzo per la cultura producono paura, chiusura, e comportamenti razzisti e xenofobi”. Apro una parentesi. In Italia, secondo me, la cultura non è scomparsa, non è uscita da nessun orizzonte. Non esiste nessun disprezzo. La cultura, oggi, è un’altra, i punti di riferimento sono altri: i calciatori, gli attori, i presentatori televisivi, i giornalisti famosi, gli scrittori che vendono migliaia di copie, le pornostar, il cinema porno. Questa è la nostra cultura, che, tra l’altro, gode di ottima salute. Non è mai stata così bene. Per voi la cultura invece significa libri, biblioteche, silenzio, musei e via dicendo? Bene, anche per me. Cosa dobbiamo fare?

mercoledì 24 luglio 2013

Come reagire

del Disagiato

La seconda epigrafe del libro di Alessandro Baricco I Barbari (Feltrinelli 2008) parla di Beethoven. È il 7 maggio 1824 quando il musicista suonò la sua Nona Sinfonia, che diverrà – in quel momento ma non dopo - la musica dei barbari. I critici musicali, invece, la stroncarono: "Eleganza, purezza e misura, che erano i principi della nostra arte, si sono gradualmente arresi al nuovo stile, frivolo e affettato, che questi tempi, dal talento superficiale, hanno adottato. Cervelli che, per educazione e abitudine, non riescono a pensare a qualcosa d'altro che i vestiti, la moda, il gossip, la lettura di romanzi e la dissipazione morale, fanno fatica a provare i piaceri, più elaborati e meno febbrili, della scienza e dell'arte. Beethoven scrive per quei cervelli, e in questo pare che abbia un certo successo, se devo credere agli elogi che, da ogni parte, sento fiorire per questo suo ultimo lavoro". I Barbari, dicevamo. Ma chi sono i barbari, secondo Baricco? Sono persone che scoprono di avere delle branchie dietro le orecchie, branchie che permettono di andare in acqua e di vivere là dove la gente normale non può stare. Chi ha le branchie mette in moto la mutazione e la mutazione permette di rendere capolavoro ciò che prima era solo frivolo e affettato. Come è successo con la Nona Sinfonia. E noi come abbiamo reagito alle parole del pianista Giovanni Allevi? Come accogliere l'idea che la musica classica debba essere facilmente fruibile?

La prima reazione possibile è quella di pensare che chi ascolta Allevi - i più o meno giovani che si annoiano ascoltando la musica di Beethoven - è gente che ha le branchie dietro le orecchie. Lo stesso Allevi sta tracciando una mutazione, sta disegnando una nuova mappa musicale. Oggi lui è un musicista sopravvalutato, domani sarà un genio, un uomo che ha dato il ritmo di Jovanotti alla musica classica, e noi tutto ciò non lo avevamo compreso. Oppure lo abbiamo compreso troppo tardi. I gusti cambiano e vengono stravolti non perché i barbari distruggono, stravolgono o uccidono i padri, ma perché sostituiscono un paesaggio a un altro, fondando un nuovo habitat. Quelli che chiamiamo barbari sono, appunto, una specie nuova. Accade anche in libreria. Ogni giorni i libri più venduti sono libri frivoli, ricchi di facili e furbi colpi di scena: libri che hanno un ritmo avvincente. Io, in libreria, scuoto la testa. Ma come succede nel caso di Allevi, dovrei pensare che i tempi stanno cambiando o che sono già cambiati: la mutazione, le branchie dietro le orecchie, l’acqua, il nuovo habitat, una nuova mappa da ridisegnare. Mi sono comportato come uno snob anche quando ho letto il vincitore del Premio Bancarella: Ti prego lasciati odiare (Newton Compton). Ma anche in questo caso farei bene a tenere a bada i miei istinti e i miei rigurgiti e pensare che la letteratura sta cambiando, e che i lettori di oggi stanno tracciando nuovi percorsi, nuovi gusti. I nuovi lettori hanno branchie dietro le orecchie e andranno là dove io, e molti di voi, non siamo capaci di stare: dove quelli respirano, noi moriamo, come dice Baricco. Noi, con i nostri banali polmoni, pensiamo ingiustamente di vedere apocalisse e corruzione. 

Oppure potremmo pensare – e molti di voi, alcuni molto rumorosamente, l'hanno fatto in queste ore - che chiunque ha diritto di ascoltare la musica di Giovanni Allevi ma che però la musica seria e colta sta dentro una tradizione e che questa tradizione va difesa, curata e rispettata. Insomma, potremmo pensare che Allevi ha detto una puttanata. Capita a tutti, ci mancherebbe. Potremmo pensare che per capire e ascoltare la musica classica l’ideale, in un mondo perfetto, sarebbe quello di avere un’educazione musicale: l'ideale sarebbe studiare. Io, buttando un occhio al mio mestiere, farei bene a pensare che da qualche parte dentro e fuori  dalla libreria sta succedendo qualcosa di strano, di anomalo. E farei bene a pensare che per apprezzare i buoni libri, quelli che mancano di ritmi orecchiabili, servono studio e dedizione. Molta concentrazione, anche. Forse farei bene a pensare che questa cosa delle branchie dietro le orecchie e delle mappe da ridisegnare non è una buona descrizione di quello che sta accadendo qua dalle nostre parti: i dischi e i libri sono prodotti fabbricati esclusivamente per far guadagnare tanti soldi, e non elementi di un nuovo paesaggio. E per guadagnare serve un consumatore acritico e serve qualcosa che si possa consumare e digerire facilmente. Non serve studiare. Non è richiesta intelligenza.

Ecco, volevo dire che in futuro, per altre questioni, dovremo scegliere una di queste due reazioni. E sarà una decisione importante.

sabato 20 luglio 2013

Rumori, locali, arte

del Disagiato

(Scrivo queste righe per i miei pochi amici bresciani e chiedo perdono a chi non sa, giustamente, di cosa sto parlando).

In queste ore abbiamo letto che al Carmine – che una volta, ma ora non più, era un quartiere di Brescia frequentato quasi esclusivamente da tossicodipendenti e prostitute – i locali dovranno chiudere prima del solito (0.30 nei giorni feriali e 1.30 il sabato e la domenica). Lo dice una nuova ordinanza del Comune, con l’intenzione di proteggere le orecchie e il sonno dei residenti. Questo, naturalmente, ha fatto arrabbiare i gestori e i titolari dei locali del quartiere, quartiere che grazie, diciamo così, alla vita notturna si è riqualificato. Insomma, chi ha ragione? Ha ragione il Comune a tutelare la serenità del posto o hanno ragione gli esercenti e i consumatori? Davvero non so. So solo che se sotto casa mia dovesse esserci quella fiumana di gente che si vede al Carmine il venerdì, il sabato e la domenica sera, ecco, io sarei un po’ scocciato. Però mi tiro fuori dal dubbio quando qualcuno di voi mi dice che il Carmine è un posto in cui si può fare qualcosa di nuovo. Qualche mese fa un amico mi ha detto che al Carmine “circolano nuove idee”, riferendosi ai due locali che organizzano concerti. Giusto, bella cosa che una città abbia un quartiere così vivace e irrequieto, perché dalla vivacità e dall'irrequietezza nascono anche passioni e sentimenti (poco fa ho visitato la bellissima Bruxelles e anche lì ho visto quartieri dove circolano nuove idee).

Mi scappa da ridere, però, quando in questa vicenda si parla di cultura e arte. Lo dice anche Luca Betelli (che ha a che fare, immagino, con il locale Carmen Town) nell’articolo che sopra ho sottolineato: “Un lavoro fatto per favorire arte, cultura, musica, oltre che il consumo di cibo e bevande. Uno sforzo che evidentemente non è piaciuto”. Ecco, volevo solo dire la mia, e cioè che al Carmine, di sera, non si fa cultura in nessun modo. Lo dico perché ogni tanto in questi posti ci capito anch’io. Ci si diverte, ma non si fa arte. Ascoltare musica dal vivo significa, secondo me, distrarsi o emozionarsi. E mi sembra giusto volere un posto dove si possa fare questo e dove, inoltre, si possa incontrare gente, fumarsi una canna, bere una birra e ascoltare buona musica. Giustissimo desiderare di passare qualche ora in questo modo. Però, sempre secondo me, la cultura e l'arte sono ben altra cosa. Al Carmen Town, in una delle sue sale, fino a poco tempo fa, c’era appesa alla parete una gigantografia di Pier Paolo Pasolini. Un primo piano del suo viso, una mano che si tocca il mento. Ecco, non basta avere una fotografia di Pasolini appesa alla parete per fare cultura o per “favorire la cultura”, così come non basta alle librerie Feltrinelli tenere appese alle pareti gigantografie simili per renderle belle librerie. No, non basta.

domenica 14 luglio 2013

Progetti, ancora

del Disagiato

Io e la mia collega Marzia ci stiamo chiedendo cosa faremo più avanti, quando le cose cambieranno. Abbiamo allarmato amici, parenti e conoscenti, ma il negozio, per fortuna, ancora non ha cessato di esistere. Io e lei siamo ancora qui a vendere libri e a fare quello che si fa in una libreria italiana. “Sì, ma dopo?”, ho chiesto alla mia collega, “Dopo, quando la libreria non ci sarà più, cosa farai?”. Marzia allora guarda la libreria deserta e mi risponde che per lei è uguale, che un lavoro vale l’altro.”Ho il mutuo, io”, mi dice. “Sì, hai il mutuo, ma ci sarà qualcosa che ti piacerebbe fare”, ribatto. “Vorrei lasciare la libreria prima che chiuda definitivamente”. E poi Marzia continua dicendomi che vorrebbe lavorare vicino a casa sua, che molto di quello che guadagna se ne va in benzina e che una vita così no, non va affatto bene. Io le faccio notare che però qui ha un buon contratto, che d’estate ce ne stiamo al fresco e d’inverno al caldo e poi, in ultimo, che il nostro lavoro non è poi così male. “Boh”, mi risponde lei, “io vorrei tanto andarmene e fare qualsiasi altra cosa pur di stare vicino a casa mia”. La guardo sapendo già quello che sta per dirmi. E infatti Marzia sorride e mi dice che presto, non sa ancora quando, vorrebbe tanto avere un figlio e stare con lui o vicino a lui. “Marzia, sei giovanissima e mi sembra un po’ presto per avere un figlio”, dico io, sapendo che sto facendo il maleducato. “No, non è presto”, dice lei imbronciata. “Per me sì, è presto”, insisto scontroso. 

sabato 13 luglio 2013

Le emozioni

del Disagiato

Ieri mattina ho letto un racconto di Čechov che mi ha emozionato molto. S'intitola La signora con il cagnolino. Finito di leggerlo, mi sono messo il libro sul petto, ho chiuso gli occhi e ho smesso di respirare per qualche secondo, pensando che la letteratura, quando fa così, quando ti becca a tradimento, è davvero bella. Poi ho chiuso il libro, ho preparato la tavola per pranzare e ho riempito una pentola d’acqua, per la pasta. Ecco, ieri ho fatto queste cose con più speranza. Ero felice e, non so esattamente come dire, con tanta voglia di fare quello che dovevo fare: voglia di prepararmi il pranzo, voglia di vestirmi e di uscire per andare a lavorare. E voglia anche di lavorare, naturalmente. Ho pensato addirittura che quello che ho è un po’ quello che ho sempre voluto. Ho pensato questo, emozionato, caricato. Merito del bellissimo racconto di Čechov. A volte bastano poche pagine fatte come si deve perché si realizzi un miracolo, perché si presenti un Dio in casa tua. Immagino sarà capitato anche a voi di sentirvi così dopo aver ascoltato una bella canzone o aver letto una buona pagina. O magari dopo aver visto un quadro. Mentre mi mettevo le scarpe per andare in libreria, vi giuro che a un certo punto ho pensato di aver capito tutto. Poi sono uscito di casa e, prima di raggiungere la macchina, ho dato un occhio alla cassetta della posta. Nella cassetta c’era una lettera della Regione Lombardia. L’ho aperta subito. La lettera mi consigliava di pagare il bollo della macchina, 180 euro, prima della fine del mese. Porcogiuda, ho detto davanti alla cassetta della posta. E poi mi sono messo la lettera in tasca e sono andato verso il garage dimenticandomi completamente di Čechov e della signora con il cagnolino. Non ci ho più pensato. L’emozione, la speranza e l’energia che avevo in corpo sono evaporate senza lasciare alcuna traccia. In macchina, come sempre, ho ascoltato un po’ di musica e come sempre ho pensato alle cose da fare in negozio, una volta arrivato. Poi sono arrivato in negozio, ho salutato i colleghi e ho incominciato a fare il mio lavoro in attesa della sera, di abbassare la saracinesca, di vedere qualcuno o di vedere un film, prima di andare a letto. Come sempre.

giovedì 11 luglio 2013

Provvedimenti

del Disagiato

Allora, un paio di mattine fa suona il campanello di casa mia. Vado ad aprire e alla porta c’è un mio vicino di casa, cioè un signore che abita sotto di me, al primo piano. La sua faccia è abbastanza arrabbiata e in mano tiene una scopa. Vieni con me, mi dice, devo farti vedere una cosa. Io lo seguo giù da basso, standogli dietro, chiedendomi cosa mai ci sarà di così importante da farmi vedere. E di così importante da vedere è terra sparsa per tutto il suo pianerottolo. La terra arriva da un vaso gigante che contiene la base di una pianta – una bellissima pianta, a dirla tutta – adesso quasi rovesciata. “Il tuo gatto”, mi dice lui laconico. E l’unica cosa che riesco a rispondere davanti a tutta quella terra e alla bella pianta agonizzante è: porca puttana. Nient’altro. “Non se ne può più”, continua lui  lavorando di scopa . “Non è la prima volta che il tuo gatto fa questo bel casino. Vedi di prendere provvedimenti”. Io sono davvero dispiaciuto e, balbettando qualche parola, cerco di spiegarglielo. Gli dico che per me è una bella sorpresa e che non sapevo niente di questa cosa. Ma stavo mentendo. Sospettavo, invece. Un paio di mesi fa sono uscito di casa e quando sono arrivato al primo piano ho trovato terra e petali sul pavimento. Il gatto, ho pensato quella volta, e allora sono salito, ho preso la scopa e la paletta, sono ridisceso, ho raccolto le prove del delitto, ho raddrizzato la pianta, sono risalito e ho buttato via tutto. Insomma, sapevo che il gatto aveva già fatto una cosa del genere, mesi prima.

Ma lì, con il mio vicino di casa nervoso, ho finto stupore e dispiacere. “Vedi di prendere provvedimenti, che qui non vivi solo tu”, chiude. E quest’ultima frase, questo “qui non vivi solo tu” mi offende un po’. Anzi, mi offende tanto. Mi ha fatto passare dal torto alla ragione.”Vedrò di sopprimere il gatto”, gli rispondo. E me ne vado, vedendo che lui, per questa bruttissima risposta, ci rimane male. Rientro in casa sbattendo la porta. Poi, dopo aver camminato dalla camera alla sala cinquanta volte, ritorno a ragionare, a fare l’illuminista. Ha ragione il mio vicino, penso. Ha aspettato anche troppo tempo prima di prendere l’iniziativa (a nome anche degli altri condomini?) di suonare e di dirmi in modo civile quello che il mio gatto combina. Perché sì, mi ha detto le cose reprimendo la sua rabbia, cercando di non guastare i rapporti distesi che ci sono sempre stati. E quel “qui non vivi solo tu” ? Giusto. Ha ragione. In questo condominio non vivo solo io, e quindi bisogna prendere provvedimenti. Il gatto va controllato e, se necessario, allontanato. Belli, i gatti, però, insomma…. 

martedì 9 luglio 2013

Le nostre vite punk

del Disagiato

Una passione che non vuole andarsene, quella per il gruppo rock/grunge/punk Nirvana. Ancora oggi, nonostante siano passati poco meno di vent’anni da quando per la prima volta ascoltai uno dei loro dischi, in casa tengo appeso un piccolo poster della band, e ancora – ma lo ammetto, era da qualche tempo che non lo facevo – leggo loro biografie. E infatti poco fa ho finito di leggere Nirvana, La storia vera (Mondadori 2008), del giornalista musicale Everett True. La biografia del gruppo che ho letto più volentieri. Ma ho una teoria: è l’età. Ho letto queste 530 pagine sì, d’un fiato, ma con più distacco, con meno foga adolescenziale, senza alcun sottofondo musicale e con più senso critico. I miei trentatre anni è come se avessero costruito un filtro o una nuova lente con la quale guardare: ho guardato le cose da un’altra angolazione, come si suol dire. E detto con presunzione, mi pare che questa angolazione sia migliore di quella di ieri, che era eccessivamente appassionata e coinvolta. Ad esempio. Nel 1992 il gruppo deve presentarsi negli studi del famoso programma Saturday Night Live e il loro manager riferisce che una limousine li attenderà sotto l’hotel. No, risponde Kurt Cobain al telefono, veniamo con il nostro camioncino, quello che usiamo sempre per i concerti. Ecco, anni fa, davanti a questo aneddoto, gli angoli della mia bocca si sarebbero alzati. Così si fa, avrei pensato allora, bisogna rimanere sempre umili. L’altro giorno, quando ho letto l’aneddoto, ho pensato invece che io, fossi stato in loro, mi sarei fatto venire a prendere dalla limousine. Magari non l’avrei fatto, però lì, con il libro in mano, ho pensato che una limousine è più comoda di un furgoncino che sa di birra e rutti. 

Everett True scrive sia perché sa di poter raccontare bene e dettagliatamente la storia dei Nirvana – allora scriveva per la rivista britannica Melody Maker - sia perché era amico dei componenti dei Nirvana e quindi il grado di veridicità e di particolari si alza notevolmente. Fu lui che fece conoscere Kurt Cobain a Courtney Love, fu lui a spingere fino a microfono, nel 1992 al Reading Festival in Inghilterra, la famosa carrozzina sulla quale, scherzosamente, Cobain era seduto, e fu sempre True a scrivere, ai tempi del loro primo disco, che i Nirvana stavano facendo qualcosa di assolutamente innovativo e che sarebbero diventati importanti per la storia della musica contemporanea. Everett, poi, contestualizza, e questo è quello che cercavo, soprattutto, dalla biografia: come spiegare la creatività musicale di Seattle e dintorni di quel periodo (fine anni ottanta)?, come viveva la classe medio bassa in quelle zone?, come è nato quello che volgarmente si definisce "movimento grunge”? e più che altro, che cosa ha da dire e lamentarsi il grunge?

domenica 7 luglio 2013

Cuochi

del Disagiato

Entrai per la prima volta nella libreria nella quale lavoro oggi per fare un colloquio. Ero uno studente fuori corso iscritto alla Facoltà di Lettere di Milano, avevo pochissimi soldi e facevo il cameriere in un ristorante di Brescia. Quando mi telefonarono per dirmi del colloquio, e di una possibilità di lavoro in quella libreria, esultai. Libri. Vendere libri. Stare in mezzo ai libri. A me i libri piacevano tantissimo e starci in mezzo tutto il giorno, pagato… insomma, potete immaginare la gioia. Arrivato in libreria, la responsabile mi portò in un piccolo magazzino, mi fece sedere e dopo una brevissima presentazione mi disse che loro essenzialmente avevano bisogno di una persona seria e con tanta voglia di lavorare. Di voglia ne ho, dissi, ma oltre alla voglia ho pure le conoscenze: "Leggo libri e conosco le case editrici”. “Guarda, questo non ha molta importanza”, mi rispose lei. E me lo disse con il tono di chi è stanca di sentirsi dire una cosa come quella. “Non ha importanza?”, pensai. Lavorare in una libreria significa conoscere gli scrittori e i libri, se non sbaglio. Ma me ne stetti zitto, un po’ impressionato, un po’ spaventato. Poi la responsabile mi disse che serviva la mia disponibilità anche a chiudere il negozio alle dieci di sera, a lavorare di sabato e di domenica, a sollevare pesi, a sporcarmi le mani, a maneggiare soldi, a non perdere troppo tempo con i clienti e a rendermi disponibile a fare qualche ora in più qualora ce ne fosse stato bisogno (già, altri tempi). “Ecco, mi serve una persona disposta a fare tutte queste cose”, chiuse sbrigativamente, Non mi parlò di libri e non mi parlò di letteratura, quindi. Non voleva conoscere me e i miei interessi; serviva una persona che lavorasse a testa bassa, senza perdere troppo tempo con i clienti. Io vacillai. Ripeto, su quella sedia, in magazzino, mi aspettavo che mi si richiedesse un po’ di competenza. Che si valutasse, più che altro, la mia voglia di stare con i clienti per proporre loro libri che conoscevo o che avrei conosciuto. “Questa donna è matta”, pensai allora, tanti anni fa, prima di dirle che sì, che ero disposto a fare quello che mi chiedevano. Ve l’ho già detto che ero senza soldi?

giovedì 4 luglio 2013

Esultanze

del Disagiato

Qualche settimana fa il nuovo sindaco di Brescia Emilio Del Bono ha deciso di utilizzare, per i suoi spostamenti, una Panda a metano anziché la solita auto blu. Decisione presa, spiega il sindaco, per dare, in un momento di crisi come questo, un esempio di sobrietà ai cittadini. Niente autista, quindi, salvo occasioni particolari. Altra decisone importante che va in questa direzione: stop all’aumento dei gettoni per presidente, amministratori e consiglieri di alcune società controllate dal comune di Brescia. Anche questo, ovviamente, lo richiede la crisi. Ignazio Marino, sindaco di Roma, ieri ha annunciato: “Nella prima riunione di giunta, oggi, abbiamo deciso l'eliminazione, da subito, dell'esclusività delle auto blu, che potranno essere utilizzate solo per incontri istituzionali. Da domani assessori, presidenti e tutte le persone per cui erano previste si recheranno al lavoro con la propria auto, con il bus o come meglio vorranno. È solo il primo passo”. Decisione uguale uguale a quella presa dal sindaco bresciano. In rete, inutile dirlo, la gente esulta. “Bravo sindaco”, “Bene, un po’ di coerenza”, “Questa sì che è economia”, dicono i sostenitori di Ignazio Marino. E se fate un giretto sulla sua pagina facebook troverete anche commenti un po’ più ruvidi come, ad esempio, “Finalmente un sindaco con i controcoglioni, era ora, in fin dei conti perché dobbiamo pagare noi le auto blu?”, “Il secondo passo sarà ghigliottinare quelli che ne hanno usufruito fino a ieri”. Insomma, la gente quando si tratta di soldi è attenta e, cosa più che comprensibile, si lascia andare a facili entusiasmi. In libreria uno dei titoli che in questi mesi stiamo vendendo di più è Tutti a casa! - Noi paghiamo il mutuo, loro si prendono i palazzi (Mondadori, 2013) del giornalista Mario Giordano, già autore, in questi ultimi anni, di Spudorati (Mondadori, 2012) e Sanguisughe (Mondadori, 2011), libri che tentano di mettere una lente d’ingrandimento sulla corruzione e gli abbondanti sprechi. Loro, gli spudorati e le sanguisughe, sono ovviamente i politici.

mercoledì 3 luglio 2013

Libri che ritornano

del Disagiato

Se siete buoni lettori o se siete attenti a quello che accade nelle librerie virtuali e non virtuali, vi sarete accorti che ogni tanto un autore sparisce, letteralmente, dagli scaffali per ricomparire (dopo pochissimo o tantissimo tempo, con un vestito nuovo o molto simile a quello precedente) seguendo due vie. La prima via di sparizione, e riapparizione, vuole che una casa editrice ceda i diritti di pubblicazione di un autore a una nuova casa editrice che ricomincia a ripubblicare tutti i titoli che erano già in circolazione. Magari la storia editoriale di John Fante non è così lineare come ve la sto presentando, ma i titoli dello scrittore americano (qualcuno dice italoamericano) sono stati pubblicati prima da Fazi Editore, poi - e questo lo possiamo vedere ancora oggi - dalla casa editrice Einaudi, nella collana Stile Libero. Prima di Fazi Editore a me sembra che fosse Mondadori a pubblicare i libri di John Fante. Einaudi, dicevo, ha ripubblicato i titoli con una nuova grafica e con inedite introduzioni: Chiedi alla polvere, ad esempio, vede un’introduzione di Alessandro Baricco, La confraternita dell’uva di Vinicio Capossela, Sogni di Bunker Hill di Gianni Amelio e così via. Cosa ancora più importante da sottolineare è il fatto che da un’edizione all’altra cambiano anche i traduttori e questo, per la vita di un libro, non è certo cosa da poco. Per Fazi a tradurre Fante era Alessandra Osti, per Einaudi invece Francesco Durante. Sto dicendo cose ovvie, lo so, ma è solo per fare un breve ripasso, e racconto, di quello che vedo capitare in libreria. Un giorno ho visto sparire il voluminoso Infinite Jest di David Foster Wallace, edizione Fandango. L’ho più tardi rivisto con un nuovo volto sempre grazie a Einaudi. 

Bompiani ha detto alla casa editrice Adelphi (entrambe appartengono al gruppo Rcs) che poteva ripubblicare tutti i titoli di Leonardo Sciascia, e così Adelphi ha fatto, lasciando però, per molto tempo, i lettori orfani di molti titoli dello scrittore siciliano (ma il percorso di ripubblicazione è quasi terminato). In tutti questi casi, piccoli o grandi autori che siano, il passaggio da una casa editrice ad un’altra prevede una, come dire, rivisitazione: nuova traduzione, nuova prefazione - a volte anche aggiunta di una postfazione - e inserimento di nuove note o apparati critici. Insomma, il libro riappare dopo essere stato riverniciato, curato, e questo, se il lavoro editoriale viene fatto come si deve, fa bene alle opere e ai suo lettori. Fa bene alla letteratura, mi viene da dire.

lunedì 1 luglio 2013

Da seduti

del Disagiato

Nella fotografia che vedete c’è uno sgabello molto simile allo sgabello che la nostra responsabile utilizza in negozio, in fianco alla cassa. Lei, a differenza di noi, non sta quasi mai in piedi, perché il suo lavoro prevede l’utilizzo del computer per: per ordinare i libri, per leggere e sistemare circolari protocolli bolle, per scrivere mail, per compilare tabelle di vario tipo e poi altri lavori che non ho ben capito. Insomma, mentre noi passiamo tutto il tempo in piedi, lei passa la maggior parte del suo tempo seduta su quello sgabello. Non che faccia solo quello, ci mancherebbe, ma lei arriva in libreria e poi, quasi subito, si siede. Noi, come mosche, le giriamo attorno, ronziamo di qua e di là, vendiamo e impiliamo libri. Lei, visto che è vicina alla cassa, molte volte si alza e prende il denaro dei clienti. E poi si risiede. Quando la responsabile è su quello sgabello, la sua faccia diventa seria e concentrata. A volte, fissando lo schermo, mi dice: "prendimi per favore un elastico"; "mettimi nella fotocopiatrice un po’ di fogli A4"; "potresti andare in posta a vedere se c’è qualcosa per noi?"; "puoi spegnere il condizionatore?"; "puoi accendere il condizionatore?"; "mi andresti a prendere un caffè?"; "saresti così gentile da chiamare il rappresentate della Giunti e dirgli che il codice che mi ha dettato ieri è sbagliato?". Ecco, con più o meno serietà, su quello sgabello ci dice di fare delle cose. E poi, da brava responsabile che è, fissando lo schermo, capita che ci riprenda: "devi essere un po’ più calmo con i clienti"; "devi essere un po’ più veloce quando sistemi i libri"; "alzati i pantaloni che ti si vedono le mutande". Poi, quando il suo lavoro, lì seduta, è terminato, riporta lo sgabello in magazzino e se ne va a casa, o si mette a fare quello che tutti i giorni facciamo noi. 

A volte, quando la responsabile non c’è, il lavoro di ordinare i libri, sistemare protocolli o circolari e scrivere mail, lo facciamo noi.