domenica 12 ottobre 2014

Ha fatto la barba al palo

del Disagiato

Mi sono dimesso abbastanza volte da posti importanti e questo lo puoi fare solo, o lo puoi fare tranquillamente solo se hai una donna che sta dalla parte tua (Mario Sconcerti)

Ormai un post su Mario Sconcerti sta diventando una tassa che i miei pochi lettori devono pagare di tanto in tanto, ma non posso fare a meno di segnalarvi una lunga (radio)intervista, quasi un’ora, a uno dei miei scrittori preferiti, nella quale si dicono molte cose a mio avviso acute, dette con spirito e con serietà. La citazione riportata sopra non vuole essere un pettegolezzo decontestualizzato, ma un piccolo assaggio, se così si può dire, dell’idea che lo stesso Sconcerti ha dell’amore, visto che anche di amore e di rapporti difficili ci parla (chi scrive di ciclismo sta sempre fuori casa, in un “eterno ritorno” ma anche “in una eterna partenza”), con un po’ di confidenza e con un po’ di intimità. E poi, tra aneddoti e qualche sigaretta, discorre di frasi fatte (mai dire “ha fatto la barba al palo”), di modi di fare giornalismo, della differenza tra il giornalismo fatto dai quotidiani di carta e quello fatto dal nostro amato web e poi, ancora, dei sogni che bisognerebbe avere da ragazzi, della fatica e delle delusioni che rischia di patire chi insegna e chi impara, e altro ancora che, se avete voglia e tempo, potete scoprire ascoltando. Ah, si, dimenticavo: nell’intervista Sconcerti parla anche della partita Roma Juventus arbitrata da Rocchi. Però lo fa a modo suo, e cioè parlando di noi che parliamo di Roma Juventus arbitrata da Rocchi.

giovedì 9 ottobre 2014

Farsi poesia

del Disagiato



Qualche giorno fa, subito dopo una partita, un giornalista ha chiesto all’allenatore della Roma Rudi Garcia cosa ne pensasse del nervosismo in campo e della brutta reazione di un suo giocatore (Manolas) a un fallo ricevuto (da Morata). E sul sito che riportava l’intervista ho letto la sua risposta: “Morata ha fatto un tackle pericolosissimo ma Manolas non deve fare la poesia di se stesso”. Ecco, io ho trovato questa risposta bellissima: fare poesia di se stesso. Il giocatore non solo non doveva farsi giustizia da solo ma, soprattutto, non doveva sentirsi così pieno di dignità e umanità e forse anche sentimento da arrivare a farsi giustizia da solo. Come a dire che la poesia, in fondo, è (ha) questa capacità di definire noi in mezzo alla burrasca; la possibilità di indicare l’accaduto, di dire come stiamo. Insomma, la risposta di Garcia mi è piaciuta così tanto che ieri me la sono riletta, scoprendo, con immensa delusione, che la vera risposta dell’allenatore invece è stata questa: “Morata ha fatto un tackle pericolosissimo ma Manolas non deve fare la polizia di se stesso”. 

E allora le cose stanno diversamente, con quel ben più prosaico ”polizia” al posto di “poesia”. Ma nonostante l’errore e la correzione (in questo caso di chi ha trascritto l’intervista, visto che google cache riporta ancora la parola “poesia”) continuo a voler pensare che “fare poesia di se stesso” sia una splendida espressione e metafora (anche se me la sono inventata) per dire…per dire che a volte la poesia - la poesia ombelicale e che non chiede nulla al lettore, la poesia fatta solo per dire che si scrivono poesie – rischia di diventare disperazione, orgoglio, vanità e altre cose che hanno a che fare con la rabbia muta o con lo sfogo o la vendetta. O con la volgarità.

giovedì 2 ottobre 2014

Anche se vestite

del Disagiato

Nel bellissimo film Don Jon il protagonista tenta, dopo che qualcuno l’ha fatto riflettere, di disintossicarsi dalla pornografia, che oltre ad aver colonizzato il suo immaginario ha anche dettato i ritmi della sua vita e della vita del suo sistema nervoso. In piena crisi d’astinenza, Don Jon, diventato più acuto e sensibile, si accorge che la pornografia non sta solo sul monitor del computer di casa o del cellulare ma anche al supermercato, sulle copertine di due riviste in vendita vicino alla cassa, come quelle che, ad esempio, vediamo noi all’Esselunga, mentre aspettiamo di mettere la nostra merce sul nastro trasportatore. Lui guarda le due belle donne (donne vestite) stampate sulle copertine di Cosmopolitan e di Life Style e, segretamente e sentendosi in colpa, si eccita. 

Ogni volta che in televisione vedo le labbra di Lilli Gruber o i tacchi a spillo di Daria Bignardi a me ritorna in mente questa scena delle riviste al supermercato. Per sineddoche mi sembra che in quella faccia o in quei tacchi (ma anche sulle copertine delle riviste esposte vicino alla cassa del supermercato del mio paese) ci sia un pezzetto del discorso che potremmo fare, ad essere pedanti, sulla pornografia: come se quelle labbra gonfie e quei tacchi non fossero proprio pornografia ma fossero invece il punto d’arrivo o, non ho ancora capito bene, di partenza di un fenomeno.